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Una doppia verità (The Whole Truth; 2016) di Courtney Hunt – Film Recuperati in Home Video


– Che cosa ha detto Mike? – Avrei dovuto farlo molto tempo fa! – Avrei dovuto farlo o andava fatto? – Ha detto: avrei dovuto farlo molto tempo fa! La sinossi: Mike Lassiter (Gabriel Basso), ragazzo adolescente, uccide il padre violento (Jim Belushi). Un caso facile, un colpevole già scritto per tutti, ma non per l’ostinato avvocato difensore Richard Ramsey (Keanu Reeves), che ha promesso alla madre (Renée Zellweger) di scagionare suo figlio. In seguito all’omicidio, il giovane Mike decide di trincerarsi in un silenzio ostinato, non rispondendo ad alcuna domanda, dopo aver detto in prima battuta “andava fatto tanto tempo fa”. Un’apparente ammissione di colpa che non convince però Ramsey, intenzionato a portare alla luce la verità a qualunque costo. In un gioco di depistaggi e colpi di scena, si muovono testimoni non affidabili e personaggi ambigui, accompagnando lo spettatore in un labirinto di menzogne per un processo che si trasforma, passo dopo passo, in un’adrenalinica corsa contro il tempo. Ma se tutti mentono, qual è la verità?

Il mio commento: Si era fatta molto notare Courney Hunt ai tempi del suo esordio nel lungometraggio”Frozen River” con una grandissima Melissa Leo, tanto che fu candidata all’oscar per quel film, molto bello. Questo suo secondo cortometraggio non è stato particolarmente amato in patria, la Hunt è stata anche abbastanza bacchettata, a me invece il film non è dispiaciuto affatto, anzi. Il film è molto pulp, in quanto storiaccia di omicidio con relativo processo, quindi dramma processuale ma messo in atto con molta originalità, ossia attraverso l’uso di continui flashback. Nel film, un ricco avvocato americano (Jim Belushi) viene ucciso con un grosso coltello conficcato nel petto. Molto interessante la scelta di Belushi per questo ruolo, poichè lo conosciamo come attore comico, qui utilizzato in chiave tycoon, aggressivo, cinico e minaccioso, ovvero Boone Lassiter. Molto brava la Hunt nel descrivere la casa, il giardino, l’ambiente, la pressione e la potenza di Boone Lassiter. Belushi è credibile e molto in questo ruolo di uomo in grado di spaventare tutti, compresi figli e moglie. Renée Zellweger in una delle sue migliori interpretazioni, grandissima prova recitativa, ricca di sfumature, tra il sensuale ed il drammatico. Keanu Reeves invece come al solito ottimo in questi ruoli, anche il suo personaggio è ricco di caratteristiche, sfumature, problematiche e anche diversi dubbi esistenziali. I flashback seminati del film sono utilizzati in maniera davvero molto interessante all’interno di questo piccolo ma bel thriller ai limiti del pulp. parrebbe un thriller giudiziario come tanti, e in effetti, lo è, ma si segnala per una sua ambiguità di fondo che è poi l’ambiguità asfittica di tante famiglie disfunzionali. Ambientato quasi interamente nell’aula di un tribunale, il film è costellato di tanti piccoli flashback, evocati dalle parole dei testimoni, che ricostruiscono le sequenze del delitto e il contesto in cui questo è maturato. Le parole, come le immagini, possono essere ingannevoli (non era questa la lezione di un capolavoro del genere come I soliti sospetti?), e la verità giudiziaria è spesso frutto dell’emozione suscitata, in chi è chiamato a giudicare, dai tremendi eventi rievocati in aula. Assistere a Una Doppia Verità è iniziare un viaggio nella psicologia umana, così ambigua, cangiante e profonda. È incredibile come poche, ben assestate parole possano plasmare il pensiero altrui, spostare gli aghi delle bilance e creare verità dal nulla, anche nelle aule di tribunale. La regia di Courtney Hunt infatti non fa ricorso a nessun stratagemma tecnico, è lineare e senza scossoni, si lascia aiutare soltanto da un racconto alternato che entra ed esce dalla corte, va avanti e indietro nella memoria dei protagonisti. Ad essere davvero importanti sono i dialoghi, i dettagli, le parole per l’appunto, che cambiano di significato a seconda di come e quando vengono pronunciate. Sono fondamentali gli sguardi, i movimenti del corpo e persino i silenzi. utto terribilmente torbido – grande atmosfera – e si sente puzza di bruciato anche se è difficile capire da dove venga. Elemento di disturbo, outsider rispetto a una rete di intrecci oscuri, l’avvocatessa alle prime armi chiamata a coadiuvare l’impotente difesa. Tensione e sorprese in giusta misura. Dimostrazione di come una storia possa risultare avvincente anche se di basso budget (relativamente: siamo pur sempre a Hollywood) e di scarsa azione.“Tutti quelli che si siedono al tavolo dei testimoni mentono, a noi sta capire quale sia la bugia”, è stato proprio l’avvocato Ramsay – con le parole pronunciate alla su giovane assistente – a metterci in guardia e a esplicitare la dichiarazione d’intenti del film. Una doppia verità (a onor del vero l’esatta traduzione del titolo inglese, The Whole Truth, sarebbe Tutta la verità) è una riflessione sul concetto di colpa e verità, che trascende i meccanismi del classico whodunit (chi l’ha fatto?) per concentrarsi con flemma anacronistica sulle inevitabili ambiguità umane. Ambientato quasi solo nell’aula di tribunale, a raccontarci cos’è successo ci pensano i flashback e l’impassibile narratore in voiceover, ma subito è chiaro che tutto quello che vediamo o sentiamo potrebbe non essere vero. Dopo otto anni lontana dal grande schermo la regista Courtney Hunt torna in sala con un piccolo dramma processuale dal ritmo lento e dilatato. Abbiamo tutto il tempo per domandarci perché Keanu Reeves abbia deciso di interpretare un personaggio così diverso da quelli in cui siamo abituati a vederlo; per riflettere sul perché il viso tirato di Renée Zellweger, madre del ragazzo incriminato, sia oramai diventato un manifesto femminista; per scervellarci su come sia possibile che al giorno d’oggi si producano film come questo, quasi fuori dal tempo e dallo spazio. I legal drama puri come questo andavano tanto di moda durante gli anni Novanta, da allora però le cose sono cambiante e il genere ha avuto un’evoluzione prettamente televisiva. In un periodo storico in cui vengono sfornate centinaia di serie l’anno abbiamo perso il conto di quanti processi abbiamo assistito, ma anni e anni seduti sul divano di casa ci hanno permesso di conoscere a menadito ogni cavillo della giurisdizione americana, impararne i termini tecnici, e soprattutto riuscire in poco tempo a inquadrare colpevoli e innocenti. La regista lo sa bene e conoscendo l’argomento (ha una laurea in legge) oltre che al pubblico televisivo (ha diretto alcuni episodi di Law&Order: Special Victims Unit) preferisce lavorare sui personaggi ambigui e ipnotici piuttosto che sui colpi di scena. Il risultato è un film che avrebbe potuto essere qualcosa di diverso, che sembra quasi un’occasione mancata, ma che trova in quella mancanza la sua forza e il motivo di essere. Tutto sommato un film a mio parere molto bello!

 
 
 

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