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Tusk (Id; 2014) di Kevin Smith – Film Recuperato in Home Video


Border Agent: A Canadian doesn’t get sad. Sadness was made by the USA. Wallace Bryton: Oh, come on. What does that mean? Border Agent: [pointing at Canadian flag] Take off, it’s true. Right there on our flag. It’s right there when you look at it. When you see past that sacred Maple Leaf, you know what you see? Wallace Bryton: A white wall? Border Agent: You see that in America – you may be red, white and blue. But in Canada, you’re red, white, but never blue, eh? LA SINOSSI: Insieme all’amico Teddy, Wallace è l’arrogante conduttore di un podcast chiamato Not-see Party (si legge come Nazi Party) che segnala personaggi curiosi pescati sul web. L’obiettivo è mettere in ridicolo i freak che pullulano nella Rete, e Wallace crede di averne trovato uno particolarmente divertente in un ragazzo che, parodiando Kill Bill, si taglia accidentalmente una gamba con una katana. Wallace decide di approfondire la conoscenza con l’automutilatore e va a cercarlo fino in Canada. Ma una volta arrivato a Winnipeg scopre che il ragazzo è morto in conseguenza di quel “ridicolo” incidente. Per non sprecare il suo tempo e il biglietto di ritorno, Wallace decide di accettare l’ospitalità offerta in loco da uno sconosciuto che promette di raccontargli molte di quelle “strane storie” di cui il podcaster va in cerca. Finisce così nelle grinfie di uno psicopatico che considera il genere umano “sconcio” e gli preferisce il regno animale, con conseguenze per Wallace a dir poco devastanti.

IL COMMENTO: Fin dal trailer si era capito che Kevin Smith ha preso L’isola del dr. Moreau e ha cercato di farne un film suo, nello stile inaugurato da Red State. Quel che la visione completa di Tusk aggiunge è che oltre allo spunto di un uomo che viene trasformato chirurgicamente in tricheco non c’è molto altro. Certo la maniera in cui come un avvoltoio Kevin Smith gira intorno al tema è da manuale, imbastisce un discorso pieno di piccole deviazioni e goduriose ellissi che allungano un brodo altrimenti molto striminzito nel quale galleggiano personcine dalla evanescente personalità. Non c’è insomma una struttura forte a mantenere viva la fiamma del film come accadeva in Red state, qui questa si spegne quasi subito allo svelamento della creatura e rimane solo il divertimento gestito da una persona che sa come far passare il tempo. Ed è un peccato perchè è evidente dalla contestualizzazione della vicenda (la vittima cade prigioniera durante un viaggio in Canada) come ci sia la volontà di raccontare storie radicate in un territorio specifico, mettendole in stretta relazione quel che accade con il luogo in cui ci si trova. Red state (con cui il film condivide la magnificienza di Michael Parks) poneva quest’esigenza così in prima linea da manifestarla addirittura nel titolo, Tusk però non è meno focalizzato nel prendere di mira i canadesi con le consuete ironie e le solite prese in giro ma anche con una maniera tipica di Kevin Smith di far aderire la vicenda al luogo in cui si svolge. Non è che la storia di Tusk non potrebbe essersi svolta altrove ma il fatto che si svolga in Canada gli dà un taglio peculiare che è impossibile ignorare. Quel che questo film ad ogni modo dimostra è la grandezza delle capacità di scrittura di Kevin Smith e quanto queste si siano ormai ben fuse con quelle da regista. È semmai la scelta dei soggetti e la maniera in cui persegue un tipo di racconto che lentamente esce sempre un po’ più fuori moda (il postmoderno per come lo ha sempre inteso lui fin dall’inizio degli anni ’90) che sta relegando questo grande scrittore ai margini del mondo del cinema migliore.

 
 
 

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