True Detective stagione 2 Recensione
- Eugenio Grenna
- 17 dic 2016
- Tempo di lettura: 2 min

Accolta con meno entusiasmo, critica, odiata dai fan della prima stagione, e tutto questo assolutamente per il nulla. Chi si aspettava una seconda stagione ai livelli della prima, sperava nell’impossibile, con la prima Pizzolatto-Fukunaga avevano raggiunto un livello cinematografico assurdo, per non dire perfezione cinematografica. Con questa seconda stagione Pizzolatto ha altri intenti, non siamo più nella Louisiana paludosa della prima stagione, siamo in una Los Angeles corrotta, violenta, e marcia fino al midollo. Non c’è più Fukunaga alla regia, i registi sono tutti diversi, c’è la regia di Justin Lin, e di molti altri registi. Il cast è completamente diverso, Colin Farrell è il detective Velcoro, marcio fino a midollo, sepolto nei guai e con il collo incavato nello sterno come se volesse disperatamente scomparire da questo mondo.

La detective Bazzarides, Rachel McAdams, una poliziotta statale, privata della sua femminilità da una famiglia troppo permissivista e new age, e da chissà quale altro trauma ancora, un personaggio che ricorda molto quello interpretato da Emily Blunt nel bellissimo film “Sicario” di Denis Villeneuve.

Il detective Woodrugh, un giovane sbirro da autostrada con un’identità sessuale travagliata.

Tutti forzati su una indagine che puzza. Puzza per chi c’è dietro. Il boss Frank, Vince Vaughn, che controlla la città e vede il suo impero vacillare seriamente a causa di un misterioso vaso di Pandora che sta decimando i suoi uomini.

Questa seconda stagione vuole raccontare i drammi di quattro personaggi, ognuno diverso dall’altro, proprio come avveniva nella prima stagione. Quattro personaggi molto diversi che finiranno per incontrarsi/scontrarsi a seguito di alcune vicende, che riguardano la malavita collegata alla polizia, ad un’indagine che forse dovrebbe essere insabbiata, e ad una cittadina che sta per essere sepolta dal marcio più assoluto, chiamato con il nome di fantasia Vinci, la quale è ispirata alla città di Vernon, che si trova a meno di dieci chilometri a sud di Los Angeles. Anche se Pizzolatto non l’ha detto esplicitamente, ci sono molti parallelismi e somiglianze tra le due città. Per concludere, questa seconda stagione è diretta ed interpretata decisamente bene, non ai livelli della prima, ma comunque degna di nota, con due attori in stato di grazia (un’altra volta) Farrell-Vaughn. Tra “Crash” di Paul Haggis,” Il braccio violento” della legge di Friedkin, e sempre di Friedkin “Vivere e morire a Los Angeles”.





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