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The War – Il Pianeta delle scimmie (War for the Planet of the Apes; 2017) di Matt Reeves &#821


Ape-pocalypse Now : Quanto conta per questo film, il leggendario Apocalypse Now (1979) capolavoro di Francis Ford Coppola?

La sinossi: Lo scontro fra scimmie e uomini si profila inevitabile. Le prime sono riunite intorno a Cesare (Andy Serkis), protagonista anche di questo terzo film del reboot della serie de Il Pianeta delle scimmie. Condottiero giusto e malinconico, Cesare abbandona presto l’idea di raggiungere la pace con la fazione nemica e, per vendicare le perdite subite tra i suoi simili, dichiara guerra alla razza umana. Di fronte a lui si dispiegano gli squadroni corazzati dello spietato colonnello senza scrupoli interpretato da Woody Harrelson. Quest’ultimo si rifiuta di cedere il pianeta ai primati, e al grido di “siamo l’inizio e la fine”, marcia con sue le truppe per distruggerli tutti. Un pugno di scimmie si addentra nel mezzo di una landa innevata alla ricerca di un misterioso fortino, dove si nasconde qualcuno che potrà determinare l’esito del conflitto, le sorti delle due specie e il destino di tutto il pianeta. Al centro del The War – Il Pianeta delle Scimmie non c’è solo il racconto dell’ineluttabile battaglia che si prepara tra scimmie ed esseri umani, c’è anche la storia dell’oscuro conflitto interno in cui si dibatte Cesare, che comincia ad avere dubbi su i suoi principi come scimmia e inizia a perdere le speranze di una pssobile pacificazione con gli esseri umani che lo hanno ferito nel modo più profondo possibile. Via via che il terrore della guerra si diffonde nel cuore della sua famiglia, Cesare si trova in guerra sia con gli esseri umani, che con se stesso per la rabbia incontenibile causata dalle sofferenze a cui ha assistito e a cui deve cedere il passo per una nuova visione necessaria a far progredire la sua specie e portarla fuori dal caos.

Il mio commento: Dopo una spettacolare scena d’apertura che ricorda i grandi film di guerra dedicati al conflitto del Vietnam, che accontenta gli amanti duri e puri del genere, The War – Il pianeta delle scimmie preme improvvisamente il freno, per cambiare ritmo e respiro, diventando un western crepuscolare, in cui Cesare e tre dei suoi più fidati compagni, Maurice (Karin Konoval), Rocket (Terry Notary) e Luca (Michael Adamthwaite), intraprendono un viaggio a cavallo in mezzo a boschi innevati, per cercare di stanare ed eliminare il Colonnello, in modo da mettere fine alla guerra tra uomini e scimmie. L’incontro con una bambina muta, Nova (Amiah Miller), incapace di parlare a causa di un virus che sta togliendo agli esseri umani le principali caratteristiche che li rendono tali, sconvolge ancora di più Cesare, combattuto tra la sua voglia di vendetta nei confronti del Colonnello e la consapevolezza di assomigliare sempre di più al nemico che tanto odia. Si può essere umani senza la nostra emotività? E si può allo stesso tempo esserlo senza provare compassione per il prossimo e per le forme di vita che ci circondano? Ridotti a figure stereotipate o silenti, gli uomini del racconto sono come delle figurine su un libro stampato, che ripetono gli stessi errori di sempre, incapaci di cambiare; al contrario le scimmie, e in particolare Cesare, si pongono domande, soffrono, tornando ogni volta al punto cruciale del film: possiamo imparare dai nostri errori o no? In un perfetto scambio di prospettiva, è la scimmia ad avere la maggiore lucidità: consapevole di non potersi liberare totalmente della propria emotività, che ha dato origine al conflitto, Cesare prova pietà per gli esseri umani e per se stesso, capendo che la scintilla della guerra è e sarà sempre presente nel suo cuore, anche se la testa gli dice che non è naturale. Come il secondo, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, anche questo è diretto da Matt Reeves, già regista di Cloverfield e del prossimo The Batman. Dopo i primi due film la specie umana è stata pressoché sterminata da un virus; umani e primati convivono più o meno pacificamente, finché non entra in scena il Colonnello, interpretato da Woody Harrelson. Sotto il pelo del leader delle scimmie, Cesare, c’è ancora una volta il bravissimo Andy Serkis. Si tratta ovviamente, a differenza di quanto accadeva nella serie degli anni settanta (dove Cesare era interpretato da Roddy McDowall) di pelo metaforico; Serkis recita con una speciale tuta sulla quale in postproduzione viene renderizzato in computer grafica il corpo da scimpanzé. Questo terzo film è ancora più cupo dei precedenti. Vengono messe in scena le crudeltà perpetrate dagli esseri umani, alla quale Cesare risponde con la violenza della vendetta. È un film sontuoso e impattante, che immerge nella foresta simil-pluviale di un Nord America tornato selvaggio in pochissimo tempo. Rimaniamo sempre attorno a San Francisco e alla California e salutiamo l’arrivo dell’attore che rimette al centro la tensione recitativa, cioè Woody Harrelson. Una garanzia nella parte del colonnello psicopatico votato allo sterminio delle scimmie infette e di chiunque sia a sua volta infetto. Nel film però c’è un tono esistenzialista, cupo, centrato sull’idea del conflitto interiore tra la rabbia e la responsabilità che agita Cesare, che rende la parte escapista di questa pellicola praticamente inesistente. Ci sarà solo una vecchia scimmietta pelata e piuttosto vigliacca ma divertente a prendere la parte della spalla comica in un dramma invece dalle tinte forti. Una tragedia shakespeariana, si sarebbe detto una volta. Scene spettacolari ce ne sono, anche se pure qui, come nel precedente capitolo scimmiesco di Reeves, però i combattimenti diventano imprecisi, non tornano, sono surreali e vengono tirati troppo in lungo, come negli western degli anni Quaranta. Sono simboli del conflitto e della tensione, certo, ma che continua a montare in maniera irrealistica. Il film per molti versi, poi, richiama i canoni delle pellicole western classiche, alla Ombre rosse, per intendersi. Sia per la presenza dell’Ovest americano che per per quella delle scimmie a cavallo, pioniere di un mondo diverso, certo, ma che quando sono unite però riescono ad essere potenti e grandi. Lo fa anche dal punto di vista morale, rendendo aridi e torridi i conflitti morali dei protagonisti, che sono sostanzialmente basati su una interpretazione freudiana della psiche (il dolore e la rabbia, la nevrosi come manifestazione attuale dei traumi infantili) e della incomunicabilità assoluta. Tra le peculiarità del film di Reeves c’è un primo atto silenzioso che fa grande affidamento sulla narrazione ambientale. In un film di poche parole e molti sguardi, ciò che gli umani scrivono sui loro elmetti e su ciò che resta del loro mondo racconta una specie fatta di reduci ancora in guerra e di combattenti inespressivi. A Reeves, in sostanza, non interessiamo più granché come uomini: siamo il residuo secco di chi non è riuscito a trovare una sintesi capace di trasformare una specie in una civiltà. Chi è diverso, non a caso, non possiede l’uso della parola e si chiede se debba essere etichettato come umano o come primate. La seconda parte, nella quale Reeves sguinzaglia il sottobosco di trame e sottotrame generate dalla genialità e dalla disperazione dei primati, è letteralmente un diluvio di contenuti condensati e compressi: rabbia, dubbio, vendetta, annullamento, redenzione si alternano in un vortice impazzito come se il secondo atto avesse “assorbito” un quarto film. Tutto decolla spontaneamente in ritmo rassicurando il pubblico: la terza impresa di Cesare sarà sì una parabola, ma anche un’epopea di buoni e di cattivi. A Reeves, ancora una volta, non interessa mostrare quanto sia sporca la guerra: con una carrellata a volo d’uccello sulla battaglia iniziale si libera della necessità di ricordarci quanto tutto sia già andato in malora. Dove centra pienamente il bersaglio è proprio nel ricucire quel delicatissimo filo che lega le sue scimmie a ciò che vorrebbe che fosse la razza umana: una specie terribilmente emotiva che, all’occorrenza, sa imbrigliare i propri demoni e sopravvivere a se stessa.

Riprendendo la domanda di apertura: Ape-pocalypse Now : Quanto conta per questo film, il leggendario Apocalypse Now (1979) capolavoro di Francis Ford Coppola?

Risposta: Molto, ed ecco perchè




Immediatamente chiaro il fatto che il personaggio del colonnello pazzo interpretato da un sempre ottimo Woody Harrelson altro non è che una chiara citazione ad un altro personaggio leggendario. Si tratta ovviamente del complesso e assolutamente pericoloso/spaventoso Kurtz di “Apocalypse Now”



Ci sono dei momenti di puro citazionismo proprio per quanto riguarda il modello interpretativo di Harrelson. Si ha una creazione piuttosto psicologica ed introspettiva sul suo colonnello pazzo, si va ad indagare la famiglia, i traumi, il passato per cercare una risposta, che cosa può averlo fatto diventare così pazzo? Quindi è molto interessante che all’interno di questo terzo capitolo War for the planet of the Apes si riesca ad ottenere una risposta in merito, cosa che mancava del tutto all’interno del capolavoro “Apocalypse Now”. Anche se in ogni caso il colonnello di Harrelson rappresenta un personaggio assolutamente complesso. Il colonnello di Woody Harrelson non è nel film fino a metà strada, e ho pensato che fosse perché i realizzatori non erano davvero interessati ad avere un buon cattivo, volevano solo rimanere concentrati su Cesare. E mentre Caesar è decisamente al centro, si scopre che sono solo economici, perché il Colonnello si consolida come un grande cattivo in sole due scene. Dopo un momento straziante di scioccante crudeltà, il colonnello invita Cesare nel suo quartier generale e, spiegando il suo ethos, aiuta a giustificare la violenza che abbiamo appena visto.

Un altro rimando è la comparsa sul muro di un sotterraneo reca una scritta con lo spray dove si legge “Ape-calypse now”, un gioco di parole tra la scimmia (ape, in inglese) e Apocalypse Now. Non solo: la scritta è graficamente identica a quella, riconoscibilissima, delle locandine e dei titoli di testa del capolavoro di Francis Ford Coppola. Quindi, dal punto di vista del racconto, ci stanno dicendo che The War – Il pianeta delle scimmie si svolge nel nostro universo, un mondo nel quale le persone hanno visto Apocalypse Now. A questo punto, il personaggio del Colonnello (interpretato dal sempre affidabile Woody Harrelson) non è semplicemente una citazione del Kurtz di Marlon Brando, ma va considerato un protagonista che sceglie a bella posta di comportarsi come la celebre icona del cinema. Non si nota facilmente ma se seguito con attenzione ci si fa caso abbastanza semplicemente. anche questi piccoli dettagli arricchiscono un film che a suo modo antologizza il genere del war movie, in modi inaspettati – a cominciare proprio dal fatto che ci identifichiamo con gli animali, palpitiamo per loro contro contro la nostra specie, coinvolta per di più in una ulteriore battaglia fratricida. Oltre a Coppola e ad altri film sul Vietnam, non mancano riferimenti interessanti e intelligenti (uno su tutti, La grande fuga di John Sturges), a riprova del fatto che spesso i blockbuster pensanti traggono linfa, e non solo strizzate d’occhio, dal grande cinema hollywoodiani degli anni Sessanta e Settanta. Questo prepara il palcoscenico per un’inebriante combinazione di influenze cinematografiche che vanno ad affermarsi sul dramma che segue: parti uguali di Les Misérables , Apocalypse Now , Il mago di Oz , 20.000 leghe sotto i mari , Il signore degli anelli , Il fuorilegge Josey Wales , Braveheart , The Guns of Navarone e probabilmente molte altre storie di vendetta, rivoluzione e redenzione. Il film in questione si differenzia perchè questo film ha scimmie che parlano inglese e camminano erette e sono inoltre più morali degli umani.

Insomma tanta carne al fuoco, chiusura magistrale di una bellissima ed interessantissima trilogia, grande film a cavallo tra il miglior western crepuscolare, il war movie e il cinema sci/fi del filone apocalittico/post apocalittico. Grande Grande Film!

 
 
 

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