The Ritual (Id; 2017/2018) di David Bruckner
- Eugenio Grenna
- 17 mag 2018
- Tempo di lettura: 3 min

Dom (Sam Troughton): My old scoutmaster used to say ‘If the shortcut was a shortcut, it wouldn’t be called a shortcut, it would be called a route’.
LA SINOSSI: Una serata tra amici trentenni finisce in tragedia quando due di loro si trovano nel bel mezzo di una rapina a un drugstore, in cui Robert perde la vita, mentre Luke rimane nascosto, paralizzato dalla paura. In suo onore i quattro restanti amici decidono di organizzare, sei mesi dopo, un’escursione sulle montagne svedesi (ma le riprese sono state effettuate in Romania), ossia quello che lo scomparso Robert aveva proposto per la loro prossima vacanza. Il meno atletico dei quattro si ferisce al ginocchio mentre attraversano i prati esterni alla foresta, così insieme decidono di tagliare per i boschi, per portarlo al più presto a un rifugio. Durante una forte pioggia finiscono però per perdersi e arrivano a una baita abbandonata, dove trovano strani simboli pagani. Qui i quattro passano la notte assaliti da orribili incubi e il giorno dopo le cose prendono una piega ancora più spaventosa.
IL COMMENTO: Il bosco è certo un archetipo di lunga tradizione, un luogo dove fauni e driadi danzano nell’immaginario classico e popolato da creature incantate e ambigue come le fate, oppure perfide come streghe; dalle culture mediterranee a quelle nordiche, fino agli orientali e più amichevoli tanuki, le foreste celano spiriti d’ogni tipo, avvicinando a livello trasversale ogni cultura. A tale topos fanno riferimento anche la letteratura, i fratelli Grimm per citare un esempio emblematico, l’arte, i simbolisti tedeschi prediligevano tale soggetto denso di misteriche implicazioni, nonché ovviamente il cinema. L’horror in particolare spesso torna, addirittura dal periodo del muto (si pensi a Nosferatu e alle selvagge lande caucasiche) fino ai giorni nostri; The Ritual / Il Rituale di David Bruckner (appena acquistato da Netflix per la distribuzione mondiale) si accoda come ultimo di una lunga lista di film. The Ritual, prima regia “intera” dell’omo degli spezzatini, quel Bruckner che per ora aveva girato solo episodi, uno su The Signal (bel film, non quello recente sulla base spaziale, un altro), poi su V/H/S (mi pare che il suo fosse discreto) e poi su Southbound dove il suo, di episodio, era veramente il più bello, quello della chiamata al 911. Finalmente Bruckner ha fatto il salto. E l’ha fatto bene. Intendiamoci, The Ritual di nuovo nel panorama horror non porta nulla, anzi, probabilmente batte volutamente uno dei sentieri più…battuti, quello del bosco, della stregoneria, dei mostri. Dopo aver partecipato al notevole horror antologico Southbound – Autostrada per l’inferno (2015), David Bruckner torna al genere con un film solido e inquietante che, pur appoggiandosi ad alcuno topoi di stampo classico, regala emozioni e spaventi in serie nei novanta minuti di visione. Ne Il rituale, esclusiva Netflix, si respira infatti una straniante atmosfera sin da quando ha inizio il viaggio dei protagonisti nel selvaggio panorama scandinavo e quando gli spazi aperti vengono abbandonati in favore della fitta boscaglia, la tensione inizia a crescere notevolmente col procedere dei minuti in una vera e propria apoteosi rifacentisi ad antichi culti e miti pagani. Tremendi incubi, macabri ritrovamenti di carcasse animali, rune incise sugli alberi non fanno certo presagire il meglio ma la narrazione ha il merito di approfondire non solo gli istinti tipici del filone ma anche il rapporto tra i quattro amici che si fa via via sempre più teso in seguito alla discesa nell’orrore, con rimorsi e non detti che esplodono in una deflagrazione emotiva resa ancora più pulsante dalle ottimali caratterizzazioni di questi quattro uomini costretti a lottare contro un nemico sconosciuto ma, prima ancora, contro loro stessi. Ed ecco così che anche le parziali forzature, come la distorsione al ginocchio, risultano giustificate ai fini dei tragici eventi in quanto il racconto si pone come apologo morale sulla gestione della colpa, qui declinata in un’ambientazione che guarda a classici come The Blair Witch Project (1999) per la gestione della cupa boscaglia, con tanto di sussurri e ombre circondanti le tende del provvisorio accampamento o ancora a sacrificali e seminali cult quali The Wicker Man (1973). L’ottima fotografia permette di gestire al meglio le numerose scene notturne, dove hanno luogo gli eventi (di origine umana o sovrannaturale a voi scoprirlo) più incisivi, e l’efficace e silente colonna sonora disegna un bello spartito di avvolgente disagio intorno al destino dei nostri, trovanti adeguata forza nelle convincenti performance dell’eterogeneo cast “comandato” dal figlio d’arte Rafe Spall.
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