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The Invitation (Id; 2015) di Karyn Kusama – Film Recuperati Home Video


” Forgiveness doesn’t have to wait. I’m free to forgive myself and so are you. It’s a beautiful thing. It really is”. Pruitt (John Carroll Lynch)

La sinossi: Will ed Eden un tempo si amavano. Dopo aver perso tragicamente il loro figlio, Eden è scomparsa prima di ripresentarsi due anni dopo, di punto in bianco, con un nuovo marito. Totalmente diversa da prima, Eden è stranamente cambiata e ha intenzione di riallacciare i rapporti con Will e con tutti coloro che si era lasciata alle spalle. Nel corso di una cena in una casa che una volta era sua, Will in preda ai tormenti si convince che Eden e i suoi nuovi amici hanno in mente un misterioso e terrificante piano.

Il mio commento: Nel 2016 uscì nelle sale cinematografiche italiane uno dei film più belli degli ultimi anni nell’ambito del cinema italiano e della commedia in generale: Perfetti Sconosciuti. Quel film si configurò come punto di partenza di un certo modello di cinema legato alla rimpatriata, alla cena tra amici in cui le bugie e le verità cominciano a diventare pubbliche, uscendo allo scoperto, generando sgomento, sconforto e tanta insicurezza. Nel 2011 invece uscì nelle sale cinematografiche internazionali il film “Carnage” di Roman Polanski. Due coppie che chiuse in un piccolo appartamento cominciavano a parlare, finendo poi per scannarsi. Bene, il film di cui scrivo oggi è la continuazione ideale di quei due film, è il finale che avrebbe dovuto avere Perfetti Sconosciuti ed è la cattiveria che avrebbe dovuto far parte di Carnage per essere ancora più incisivo. C’è, all’inizio di The Invitation, una scena che non sembra avere nulla a che vedere con ciò che segue, ma che, in realtà, può e deve leggersi come una sottile anticipazione, un pronostico di quel che stiamo per vedere. Si tratta di una sequenza, per altri versi, originale, in quanto è l’unica in tutto il film a essere contestualizzata al di fuori dello spazio chiuso della villa che sarà poi l’esclusivo teatro degli eventi. Logan Marshall-Green ed Emayatzy Corinealdi, ossia Will e Kira, investono un coyote mentre stanno guidando in una strada deserta, diretti alla loro destinazione. L’animale, finito sotto le ruote, è agonizzante ma ancora vivo. E Will, con un utensile di ferro della macchina, pone fine alla sua agonia, con un atto che è al contempo di ferocia e di pietà. La pietà e la ferocia sono le due colonne che reggono, dunque, il portale attraverso cui la regista Karyn Kusama introduce lo spettatore nel suo film, che da questo momento contrae lo spazio e l’azione nella bellissima abitazione dell’ex moglie di Will, Eden (Tammy Blanchard), tra le colline di Hollywood, dove convergono tutti i personaggi della storia. La villa è un mondo ovattato e chiuso, fortificato e isolato dall’esterno, un guscio (o un ventre) dove nemmeno il segnale dei telefoni riesce ad arrivare. E in fondo, essa rappresenta l’estroflessione fisica di un universo calmo e purificato che dovrebbe essere quello della mente di Eden e del suo nuovo compagno, David (Michiel Huisman), i quali hanno raggiunto una sorta di nirvana seguendo gli insegnamenti di un guru mistico. La pietà e la ferocia risbucano fuori proprio quando i padroni di casa mostrano agli ospiti un filmato in cui la loro guida spirituale accompagna una donna sofferente verso la morte: una visione che allibisce tutti e li sconcerta. Soprattutto Will, che si porta ancora addosso, dentro e fuori, i segni di quel lutto – la perdita del figlio suo e di Eden – che non è mai riuscito pienamente ad elaborare. Parrebbe esistere un’analogia, tra il gesto con cui l’uomo ha posto fine alle sofferenze del coyote, poco prima, e l’eutanasia che il santone pratica alla discepola. Ed esiste. Certamente esiste nella mente di Will, che è il personaggio nel quale è più facile immaginare un’imminente perdita di controllo, dal momento che la sua psiche, fin dall’inizio, sembra andare a pezzi. Ma esiste anche nel disegno nascosto che la serata va man mano rivelando e che si trasformerà nell’equivalente del colpo di grazia calato da Will sulla testa del lupo. Karyn Kusama in The Invitation ha scelto una strada eccentrica e assolutamente poco scontata per affrontare temi di non poco momento come il dolore dopo una perdita e i presidi con cui affrontare l’horror vacui che ne è conseguenza. Il trucco di The Invitation è quello che sta alla base dei più riusciti paranoia-movies, in cui deve dominare il dubbio se ciò che un personaggio di riferimento crede o teme, sia reale o no. Attraverso gli occhi di Will, noi percepiamo una serie di particolari che potrebbero forse celare altro da ciò che sembrano: una boccetta contenente delle misteriose pillole, le azioni apparentemente banali di David, come chiudere a chiave una porta o accendere una lanterna rossa in giardino. Che qualche cosa penda come una spada di Damocle sulla casa e sulla reunion in atto, è ovvio. Ma da dove e da chi arriverà il pericolo, questo viene abilissimamente tenuto fuori dalla porta fino all’ultimo segmento della storia, quando dagli ambiti di un tagliente thriller psicologico il baricentro del film si sposta improvvisamente e sorprendentemente nell’horror più sanguinario. E la forza di tutto questo epilogo viene magnificata dall’immagine conclusiva che dal piccolo, cioè dal microcosmo infernale della villa, si apre improvvisamente al grande, cioè a tutto l’universo che sta al di fuori. Una conclusione sorprendente che mette come parola fine a The Invitation un sigillo nientemeno che apocalittico. Grande Film! Peraltro visto da pochissimi, andrebbe dunque recuperato, guardato e riguardato, perchè si tratta di un grande film psicologico, metafora di un’elaborazione del lutto riuscita nel contesto paranoia movie e film psicologico. Il cast è ottimo e funzionale allo svolgimento degli eventi, così come l’ambientazione, la casa fa davvero paura presa singolarmente, così come le luci e la scelta dei colori. Il momento più bello è quello dei calici .. grande scrittura filmica, grande film!

 
 
 

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