The Disaster Artist (Id; 2017) di James Franco – Recuperato in home video
- Eugenio Grenna
- 27 apr 2019
- Tempo di lettura: 3 min

TRAMA:
La strana ma vera storia dell’amicizia tra gli attori Greg Sestero e Tommy Wiseau, che insieme realizzarono The Room, un film spesso considerato come il peggiore della storia del cinema.
COMMENTO:
C’è un discorso molto serio che è necessario fare prima di scrivere qualcosa a proposito di questo ottimo film/docufilm di James Franco. Il film drammatico di Wiseau era già un cult al rovescio per la sua involontaria comicità e per l’eccentricità del suo creatore, celebrato da proiezioni speciali ed esaltato dai racconti di Greg Sestero. “The Disaster Artist” è un film su un film, a cui si sommano le vicende biografiche dei protagonisti; un mix rischioso sotto vari punti di vista: rendere la storia comprensibile e godibile anche a chi non ha mai visto “The Room”, in America e all’estero; fare di Tommy Wiseau un personaggio e non una macchietta; e poi quei soliti ostacoli di costringere la realtà dentro la finzione e la narrativa dentro un film. The Disaster Artist è anche una parabola piuttosto amara sul sogno americano e sul desiderio di essere parte di quel mondo lì, di quella vita, di quella specifica american way of life di cui tanto si è scritto e parlato nel corso degli anni. In “The Disaster Artist” Tommy realizza il suo sogno, un film, che diventa una chiara metafora, poiché quel film avrebbe potuto essere qualsiasi altra cosa, un semplice mezzo per raggiungere un fine: la fama (specificatamente americana) ed il riconoscimento nazionale di esserne parte necessaria e fondamentale. Un progetto narcisista che rappresenta poi un vero e proprio riscatto, un obiettivo da raggiungere per forza servendosi di costanza e determinazione. Ma il risultato gli si ritorce contro doppiamente. Perché Tommy, nonostante il suo accento e il suo aspetto, si dichiara americano e ama l’America. Ottiene la fama al prezzo di essere deriso, l’arroganza presenta il conto. Un racconto di grande umanità e solitudine, una parabola sulla sofferenza causata dal rifiuto, ma anche una grande storia di pura lealtà maschile, cameratismo e quindi amicizia, condivisione di passioni, e tutto questo è usato da Franco in una chiave addirittura drammatica, tale da rendere il divertimento e la risata sempre o quasi prive di ironia. Insomma un divertimento malinconico e amaro, proprio perché si ha chiara la sofferenza ed il cammino di denigrazione e annullamento della propria volontà. Infatti torna più volte un dettaglio piuttosto significativo: l’ossessione di Wiseau di essere tradito e sfruttato. Il James Franco regista sembra prediligere la materia letteraria come spunto di partenza, rispetto ai vari documentari o il film vero e proprio realizzato da Wiseau, ciò significa prendere solo in parte sequenze del film appena citato riproponendole in chiave aggiornata e quasi parodistica, e prendere invece molto di più tutto un racconto di aneddoti, vicende legate al cinema di quegli anni e così via. Basti pensare a quei due momenti nel bar con Judd Apatow e Bryan Cranston. Il film tiene il ritmo della commedia con i giusti tempi, sviluppandola in modo fluido, risparmiandoci il più possibile luoghi comuni, appoggiandosi a convenzioni drammaturgiche. Si serve della camera a mano, per mantenere tutto sempre in movimento, gioca con i campi lunghi per creare contrasti e isolare Wiseau. Anche se alcune gag non sono straordinarie o freschissime e potevano essere un po’ più elaborate, altre provocano una sensazione scomoda. Sulle sue capacità comiche non c’era da dubitare, e infatti come attore è dove Franco riesce meglio: poteva limitarsi a una facile imitazione, ma allo stesso tempo si sforza di mostrarci il lato umano di Wiseau, la sconfitta e la fragilità di questo adulto-bambino ambiguo, in parte ingenuo e sognatore, narcisista e spietato, che gira un film per pura vanità, per esprimere quanto si fosse sentito tradito dal mondo intero. Franco gira un film hollywoodiano su un regista antihollywoodiano, da lui interpretato, che gira il film più brutto mai fatto. È così che il Wiseau/Franco non è solo omaggio allo straordinario perdente ma dice anche qualcosa di sé: Franco in Wiseau si riflette, è anche lui disaster artist, autore ma anche star e sex symbol mai sbocciato del tutto. Il regista tematizza anche la sua impossibilità di farsi prendere sul serio. Franco si accosta apertamente a Wiseau nello split screen finale, che affianca il vero The Room alle scene rigirate dal regista. Ma attenzione: Franco si dissocia, in un particolare essenziale, tenendo la battuta I did noooot per un tempo maggiore dell’originale, un secondo in più, e così dice che vuole essere diverso da lui. Vuole il successo non per un fallimento. Il fallimento da questo ottimo film è però piuttosto distante, proprio perché The Disaster Artist non solo è giunto ad un incasso notevole a livello globale, ma anche ad un riconoscimento di valore piuttosto sorprendente, ossia la nomination (agli oscar) per la miglior sceneggiatura non originale. Ottimo film. Consigliato sì!
TRAILER:
Comments