The Cured (2017) di David Freyne – Torino Film Festival 35 – Maratona Horror
- Eugenio Grenna
- 3 gen 2018
- Tempo di lettura: 7 min
Trentacinquesima edizione del Torino Film Festival. Settimo film che sono riuscito a vedere nel corso di questa tanto attesa trentacinquesima edizione del Torino Film Festival, terzo film della maratona horror al cinema Massimo. Una notizia buona e almeno due cattive, in relazione ad una contaminazione zombie che da quasi un decennio contagia l’Irlanda e l’Europa intera: la buona è che l’antidoto per una cura è stato trovato; quelle cattive sono che solo il 75% dei colpiti risponde alle cure, è che la guarigione dà solidi risultati in termini fisici, ma non è in grado di cancellare lo shock emotivo che colpisce molti dei guariti quando dipendano alle azioni immonde commesse inconsciamente allo stato di zombies. Una giovane vedova intanto accoglie il giovane cognato appena guarito, non sapendo che egli stesso ha sbranato suo fratello e marito della donna, poco dopo essere stato contagiato. E intanto la questione morale su cosa fare del 25% degli irriducibili che non rispondono alle cure apre scenari da nuovo olocausto, mentre si riaccendono forti episodi di intolleranza tra i sani ed i guariti. Una questione morale che non può essere sottovalutata né trascurata. Un horror maturo, questo The cured, che si apre con lucidità verso scenari dove la morale riveste un notevole tassello nella soluzione di quella che non può esser solo considerata una mortale epidemia. Infatti la scelta del destino da riservare ai malati resistenti alla cura crea divisioni tra chi vorrebbe semplicemente eliminarli (i sani) e chi invece si pone nella coscienza un dilemma di natura morale (i guariti, che risultano immuni alla fame dei malati, ed una dottoressa, imperterrita sostenitrice della cura a favore di un paziente in particolare a cui è affettivamente molto legata). Ne scaturisce un horror contaminato di spunti e sfaccettature non solo etiche ma pure sentimentali che pongono il film ad un bivio che tuttavia non crea scompensi, ma anzi valore aggiunto. Brava Ellen Page, ma è Sam Keeley il fulcro trainante della vicenda e la sua prova risulta molto accorata, di grande impatto emotivo nel riuscire a rendere il dilemma di chi è conscio dello scempio che ha commesso, sa di non poterne essere considerato responsabile, ma soffre di un dolore tutto privato ed acuto che fa male più dell’essere stato contagiato. Il film in questione, per me una vera e propria sorpresa (finalmente). Presentato durante la 35° edizione del Torino Film Festival nella categoria After Hours, e successivamente proiettato durante la maratona horror al cinema Massimo, cominciata malissimo con l’orrido “Kuso”, proseguita maluccio con “Game Of Death” e terminata con un quasi grandissimo film ovvero The Cured di David Freyne che è un film horror dai tratti realistici che parla dei letali effetti scaturiti a seguito di un’epidemia zombesca. Attingendo a piene mani dal cinema del compianto George Romero, il talentuoso David Freyne realizza un film politico fino al midollo apportando alcune innovazioni narrative che ribaltano quanto visto fino ad ora. Se in Romero la componente sociale dei film vedeva lo zombie come vittima inerme della crudeltà umana, e quindi l’ambivalenza tra uomo e mostro risultava ambigua ma netta, in The Cured viene introdotta una nuova categoria, i guariti, situata a cavallo tra un polo e l’altro e perciò priva di identificazione/appartenenza sociale. Essi sono persone sane, tornate alla normalità ma trattate con sprezzo da chi gli sta intorno ed emarginate a causa della loro “diversità”. Il film di Freyne analizza a fondo le tematiche della diversità e dell’emarginazione attraverso una lettura critica, e orrorifica, di una società che si considera all’avanguardia ma che teme tutto ciò che non conosce e che di conseguenza non può capire. I guariti, vittime sacrificali del film, sono la perfetta ambivalenza tra bene e male. Da un lato soffrono l’ingiusta(?) ghettizzazione della loro “specie”, giudicati per colpe che in realtà non hanno propriamente commesso, mentre dall’altro lato la loro rabbia li trasforma nei carnefici che essi stessi cercano di combattere. Oltre alla componente politica, che padroneggia l’opera di Freyne, trovano ampio spazio numerosi aspetti legati alla morale umana come l’egoismo di chi combatte una causa per il solo tornaconto personale o l’impossibilità del perdono. Il regista analizza a fondo scelte e comportamenti dei personaggi senza assumere una ferrea presa di posizione ma lasciando allo spettatore l’arduo compito di decidere cosa sia corretto o scorretto, morale o amorale. Non vi è un’accusa diretta ma una profonda riflessione su cosa possa significare dover fare delle scelte trovandosi in situazioni di completa instabilità mentale. Senan (Sam Keeley) è tormentato da un inconfessabile segreto che distruggerebbe per sempre l’unico legame che lo tiene ancorato al mondo, quello con Abbie (Ellen Page) e il nipote, e teme perciò di non poter essere perdonato. La causa di Conor, apparentemente giusta e sensata, sfocia in una carneficina senza precedenti ribaltando completamente il senso delle sue azioni. Ma in questo calderone di disperazione e sconforto, lo struggente epilogo del film sembra dare un flebile spiraglio di speranza per tutto il genere umano, mostri compresi. Il caos esistenziale in cui gravitano umani, infetti e guariti sembra ritrovare un equilibrio attraverso un’importante decisione presa da Senan, probabilmente il personaggio più umano della storia, che con un piccolo gesto dimostra quanto ancora ci sia del bene tra gli uomini e che questo non deve essere sprecato. Difficile è, in un sottofilone filmico abusatissimo come quello incentrato sull’Apocalisse dovuta a una qualche pandemia, dire qualcosa di nuovo. Riesce tuttavia a esplorare aspetti ancora non triti l’esordiente regista David Freyne con il suo The Cured. Ellen Page e Sam Keeley (eccezionale) sono i protagonisti in un inedito zombie movie, che riflette su cosa accadrebbe agli infetti una volta che fossero stati curati. Ad essere anzitutto inedito è il presupposto iniziale: non viene messo in scena il momento in cui tutto degenera, o la distopia seguente in cui pochi superstiti cercano di sopravvivere come possono. In questo caso non il morbo, “The Maze”, ma l’umanità ha vinto e la civiltà è in parte tornata al suo normale corso. Non solo; sconfitta la minaccia è stata perfino trovata una cura capace di riportare indietro la maggior parte (più del 70%) di colore che sono venuti a contatto con il terribile virus (da cui il titolo che rimanda alla loro guarigione). Molteplici sono quindi le problematiche affrontate da The Cured, che esula ampiamente le solite semplicistiche visioni del simil zombie movie alla 28 giorni dopo, per addentrarsi in lidi ben più profondi e meditativi. Anzitutto c’è l’interrogativo, tutt’altro che scontato, sulla possibile reazione post-traumatica di un ex-infetto, con tutta la declinazione di reazioni possibile, dal suicidio, all’auto-indulgenza all’incapacità di perdonare sé stessi, perché colpevoli di omicidio involontario – viene comunque vagheggiato il dubbio che una qualche volontarietà permanga -; anche qui il convivere con le proprie azioni non è certo semplice. Poi c’è un secondo livello: l’assoluzione da parte della comunità in cui si è creata tanta sofferenza, tra un più logico scusare gesti involontari e l’umana incapacità di dimenticare. Infine c’è la paura di una nuova epidemia che, seppur non scientificamente supportata, è radicata in quell’irrazionale istinto di sopravvivenza che è antropologico quanto ferino. Ne scaturisce un moto di comune rigetto contro quella che è percepita quale minaccia. D’altra parte il diverso sempre è stato visto con sospetto, soprattutto dopo i grandi sconvolgimenti. La riflessione etica, l’idea di una sorta di pietosa eutanasia, si unisce a quella sui meccanismi politici e decisionali, con tanto di manifestazioni e di repressioni armate, ambedue accomunate da violenza. Fino a che punto è giustificabile la forza, l’atto distruttivo verso cose e perfino persone? Da entrambe le fazioni, quella degli emarginati che sono guariti, che degenerano in metodi terroristici, e quella della polizia, demandata a mantenere l’ordine, ci sono sostenitori delle maniere brutali. Le problematiche affrontate sono sicuramente complesse e decisamente attuali. Molto c’è di emotivo, di riflessivo in The Cured, ma non esiste solo quello; a rompere la narrazione a volte lenta, ma costantemente lineare e “tranquilla” sullo svolgimento, esistono anche momenti di azione, inseguimenti di infetti e salti sulla sedia decisamente inattesi. D’altra parte, prospettiva inquietante, non solo gli infetti tra loro comunicano e agiscono in gruppo, con una qualche razionalità, ma il medesimo senso del branco permane anche in coloro che sono stati curati quale eredità del morbo (li vediamo in una sequenza in cerchio che respirano innaturalmente all’unisono); e sono altresì riconosciuti dai contagiati come loro simili; in molti passaggi ci si interroga se non sia per certi versi così. Vero è però che non siamo davanti a un horror ipercinetico, non sono la crudità delle immagini o la tensione ad essere gli elementi centrali del film, ma Freyne è più interessato alle molteplici implicazioni soggettive e sociali, avvicinandosi a Contagious – Epidemia mortale per l’insolita sensibilità con cui è trattato un soggetto che di norma è affrontato con ben minore approfondimento e molto più sangue e budella. The Cured è decisamente un film che si prende molto sul serio e che si fonda principalmente sul sottolineare un forte contesto politico-sociale (palese il richiamo ai Troubles che hanno devastato l’Irlanda per diversi decenni), con evidenti riferimenti ai crimini dell’IRA. La stessa presenza militare, poi, è preponderante, con soldati dispiegati come contenimento dei malati ancora infetti dal virus, che finiranno ovviamente per indulgere in azioni riprovevoli nei loro confronti. Ma l’elemento che lo fa emergere davvero è per come riesce a inquietare e spaventare per la violenza grafica mostrata sullo schermo, con un uso intelligente del gore e di effetti sonori efficacissimi. Viene inoltre introdotta l’idea secondo cui gli ex infetti conservino i ricordi delle carneficine commesse, con relativi disturbi post-traumatici e sogni traboccanti emoglobina che alzano in maniera determinante la soglia del dolore dei personaggi coinvolti, nonché l’empatia dello spettatore. Il comparto attoriale è di tutto rispetto e, se Ellen Page (Juno, Hard Candy, Inception) interpreta con il solito evidente impegno il personaggio più rilevante tra i non-infetti, i due antagonisti maschili Sam Keeley nel ruolo tormentato di Senan e Tom Vaughan-Lawlor in quelli dell’odioso capobranco Conor fanno la differenza nel mettere sullo schermo con efficacia due facce della stessa medaglia nel campo degli ex-zombi. Rimarchevole anche tutto il reparto tecnico di The Cured, con la fotografia grintosa di Piers McGrail, che cattura magnificamente l’azione e il riuscitissimo make-up dei non morti in ospedale, che li fa sembrare più dei malati sofferenti che degli zombi (infettati, appunto, da una malattia, come in 28 Giorni Dopo di Danny Boyle), sottolineando ancora di più quanto non ci sia bisogno di essere dei morti viventi per comportarsi come mostri. Questo bellissimo film per quanto mi riguarda addirittura capolavoro sfiorato, non è soltanto un horror, è un dramma sulla globalizzazione del dolore, un film sospeso tra fantastico, horror, grottesco, critica sociale e dramma. Si tratta di un’idea di cinema molto vicina a quella di “I figli degli uomini” capolavoro (per quanto mi riguarda) del 2006 del grande Alfonso Cuaron, infatti i due film si assomigliano moltissimo. In entrambi i casi si tratta di una fantascienza adulta e distopica che deve per forza essere viscerale, sentimentale e poco propensa all’esaltazione della tecnologia. Il cielo è grigio, l’Europa è scossa dagli attentati, gli immigrati e i diversi vengono deportati, le donne non sono più nella condizione di poter vivere tranquillamente, le nazioni non sono più rigide come prima e domina uno scenario politico guidato da cantori dell’Apocalisse. Insomma per quanto mi riguarda questo The Cured di David Freyne è un grandissimo film con degli interpreti d’eccezione che per fortuna chiude in bellezza una maratona horror piuttosto brutta.






Comments