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Tesnota/Closeness (2017) di Kantemir Balagov – Torino Film Festival 35



Trentacinquesima edizione del Torino Film Festival. Tesnota Closeness di Kantemir Balagov, produzione russa all’interno della sezione Festa Mobile. Il film in questione è un drammone che racconta la storia di un nucleo famigliare di ebrei che vive a Nalchik, Caucaso, la cui vicende ovviamente saranno sempre molto pesanti e particolarmente tragiche. Inizialmente conosceremo alcuni membri di questa famiglia, ovvero un fratello ed una sorella il cui rapporto è davvero molto strano, ai limiti dell’incestuoso. Siamo a Nalchik, nel Caucaso settentrionale, l’anno è il 1998. Ilana (Darya Zhovner, interpretazione potente), 24 anni, aiuta il padre (Artem Tsypin) nella sua officina. La sera, dopo che in casa viene festeggiato il fidanzamento del secondogenito David (Veniamin Kats), il ragazzo viene rapito insieme alla sua amata. La comunità ebraica di cui entrambe le famiglie fanno parte si riunisce per provare a racimolare i soldi necessari per pagare il riscatto. Ma non bastano. Che cosa è disposta a fare la famiglia di David per salvare suo figlio? Ambientato negli stessi luoghi dove il regista è nato e cresciuto, basato sull’insieme di alcuni fatti reali avvenuti in quegli anni, Closeness (il titolo è abbastanza esplicativo) mantiene sempre alta la tensione opprimente e claustrofobica, data anche dalla situazione “ordinaria”. le famiglie dei rapiti preferiscono non rivolgersi alle autorità locali ma provare a raccogliere il denaro necessario per rivedere i propri cari. E Balagov imposta tutto il suo discorso filmico proprio su questo aspetto, sul paradosso secondo cui per salvare qualcuno che amiamo siamo disposti a perdere qualsiasi altra cosa. Estremizzando: per salvare un figlio siamo disposti a sacrificare la felicità dell’altro? Il cuore pulsante dell’intera vicenda, per questo, è proprio Ilana. È lei il vero motore del film di Balagov, l’incarnazione di una ribellione, talvolta confusa, violenta, decisa e tragica. Lo si percepisce dall’incapacità di adeguarsi agli standard di una madre (Olga Dragunova) che, è palese, tende a preferirle il fratello, dalla tenacia con cui, fieramente, indossa praticamente sempre la stessa salopette jeans con maglione sdrucito sopra, dalla testardaggine con cui porta avanti il rapporto con il cabardo Zalim (Nazir Zhukov). E alla fine, sarà proprio a lei che verrà chiesto il sacrificio maggiore per poter riabbracciare David. Ma, anche stavolta, Ilana farà di testa sua. Sacrificandosi, certo, ma scegliendo lei in che modo. Non c’è più la possibilità di tornare indietro, ormai. E Balagov lo suggerisce benissimo con la scelta di un finale amaro, ma inevitabile, impostato su un andirivieni. Nalchik resta alle spalle, lì ormai ci sono solo un figlio (fratello) e il ricordo di una vita che non è più possibile portare avanti. Il regista del film in questione è un ventiseienne che con questo film ha conquistato letteralmente la scorsa edizione del festival di Cannes. Purtroppo però non è riuscito a convincermi, anzi mi ha fatto abbastanza odiare questo suo polpettone decisamente troppo pesante, troppo lento e troppo tragico. Infatti il film ha una durata di 118′ minuti, ma per quanto mi riguarda potrebbe anche essere durato tre ore e più. Veramente molto pesante anche il modo in cui il regista ha deciso di girare questo film, ovvero con la decisione di utilizzare il formato aspect ratio 1.33 che, naturalmente tende ad includere, ingabbiare maggiormente tanto la storia quanto i suoi protagonisti. Ma è proprio il modo in cui ciò viene messo in scena che non mi ha convinto. Ogni cosa accade con molta lentezza, il regista decide di rimanere molto, troppo quasi sempre, sui volti di questi membri della famiglia ebrea, segnati dalla stanchezza, dalla solitudine, dal freddo che c’è dentro e fuori e che hanno intorno, infatti una delle poche interessanti è la visione di questo razzismo tra questi nuclei di ebrei in quella zona. Ho odiato la madre ed ho odiato il ragazzo che viene rapito, infatti per tutto il film ho sperato e aspettato con impazienza la loro morte o sparizione. Il personaggio della madre è estremamente odioso, pesante ed eccessivamente, non funzionale alla continuazione della famiglia, dunque un bel controsenso. Molto belli invece i due personaggi fondamentali del film a mio parere ovvero quello del padre e di sua figlia, loro sono diversi dalla madre e dal figlio, si vogliono bene tra di loro e si supportano, vedremo infatti nel finale questa cosa concretizzarsi. Non mi è piaciuto l’uso delle luci, in molte scene c’è un cambio di luce troppo confuso e sbagliato, si passa da una stanza buia ad una luce piena ad una intermittente, da mal di testa seriamente. Per fortuna c’è questa lentezza davvero esagerata che può permettere allo spettatore stanco ed annoiato di schiacciare un pisolino, tanto di tempo per dormire questo regista ventiseienne ne ha dato. Per ora il film più brutto del festival (tra quelli che ho visto).

 
 
 

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