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Ted Bundy – Fascino Criminale (Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile; 2019) di Joe Berlin

TRAMA:

Ted Bundy è affascinante, carismatico e bello. E Liz Koepfler, una mamma single, non riesce a resistere al suo fascino. Insieme, sembrano la coppia perfetta ma tutto crolla il giorno in cui Ted viene arrestato con l’accusa di essere un serial killer. Nel vortice della paranoia, Liz sarà costretta a realizzare di aver vissuto insieme a uno psicopatico senza accorgersene. Ted Bundy è affascinante, carismatico e bello. E Liz Koepfler, una mamma single, non riesce a resistere al suo fascino. Insieme, sembrano la coppia perfetta ma tutto crolla il giorno in cui Ted viene arrestato con l’accusa di essere un serial killer. Nel vortice della paranoia, Liz sarà costretta a realizzare di aver vissuto insieme a uno psicopatico senza accorgersene.

COMMENTO:

L’IMPORTANZA DI GOETHE E DI UNA TITOLISTICA EFFICACE

Joe Berlinger, l’ottimo documentarista e regista di questo biopic-non biopic fa precedere una frase di Goethe (molto significativa per ciò che il film mostrerà) al film vero e proprio: “Poche persone hanno l’immaginazione per la realtà”. Interruzione, dissolvenza in nero, e titoli di testa. Noi sappiamo però che Goethe prolunga il ragionamento, aggiungendo: “La realtà non è sempre probabile, o verosimile”. Tutto questo ha una grande importanza all’interno del significato metaforico di Extremely Wicked, Shockingly Evil, And Vile..l’interessante titolo originale del film, tradotto da noi “Ted Bundy – Fascino Criminale”. Un dramma, che si trasforma in una sorta di Biopic, il cui oggetto di interesse viene analizzato esclusivamente da una lente prettamente femminile, di cui due sono gli elementi fondamentali:

1 La realtà dei fatti proposta e promossa dalla giustizia e dunque filtrata necessariamente dai mass media

2 La realtà fittizia. Quella auspicata dai famigliari e da tutti coloro che conoscevano più che bene l’imputato. Una realtà questa volta filtrata dalle emozioni e dalle sempre meno presente certezza di conoscenza.

Ecco dunque che ciò che Goethe scrive si incastra perfettamente all’interno di questa logica decisamente schematica. Altro elemento importante ed in qualche modo degno d’interesse è quello legato al titolo del film, ed alla sua traduzione italiana apparentemente fuorviante. Nel caso del titolo originale ci si rapporta immediatamente al film con un approccio aspro e giudicante, conscio della realtà dei fatti e di ciò che si sta per vedere, poichè si tratta di termini tecnici professionali e giuridici usati in aula per definire le gesta dell’imputato e l’imputato stesso. La traduzione italiana invece (volontariamente o involontariamente) devia questo approccio, lo cancella quasi, suggerendo un’aria filmica più spavaldamente divertita e briosa, di grande charme e divismo, dunque di forte elemento sexy, da comedy. Poichè gioca fin da subito con alcuni estetismi e stilemi che tornano chiaramente nel corso del film. Due scelte di titolistica opposte ma decisamente interessanti.

SALTI NEL TEMPO, MAKE UP E ROM-COM

La durata complessiva del film (1h 49min) risulta in fin dei conti contenuta e probabilmente ridotta rispetto a tutto ciò che in realtà vorrebbe raccontare e mostrare ed estendere. La prima sequenza è il finale, l’ultimo confronto. Uno stratagemma usato molto spesso. Non gioca a favore del prodotto totale in questo caso, poichè si tratta del momento in cui si fa maggiormente uso di prostetica e dunque make up, in cui i due protagonisti hanno vissuto la loro vita, i loro dolori ed i loro amori, hanno sofferto, pur restando sempre legati l’uno all’altra, giungendo così ad uno scontro/incontro finale, in seguito al quale non si vedranno mai più. Un confronto finale logorante, ed è proprio così che appaiono, logorati, eccessivamente. Non funziona dunque il make up a causa della sua pesantezza ed eccessività. Pochi attimi dopo giungiamo alla fine degli anni 60 attraverso uno stacco molto deciso e netto. L’incontro, il primo, quello dell’innamoramento folle tra Ted (un incredibilmente versatile e camaleontico Zac Efron) e Liz (una meno funzionale anche in fase drammatica Lily Collins, per il suo essere attrice perennemente bambina). Una prima parte di film giocata interamente sugli stilemi della ROM-COM più classica, e dal sentimentalismo più sfacciato. Poi tutto cambia..ma non con mano decisa.

IL RACCONTO FAMIGLIARE E LA CRONACA NERA. NON SEI TU IL COLPEVOLE, IO LO SO

Berlinger servendosi di una mossa molto semplice ma immediata stravolge le sorti del film, attraverso una particolare tecnica di montaggio per immagine e suono, che svolge un potente ruolo narrativo. Affianca cioè delle immagini di repertorio (false) legate ad un’idea di famiglia perfetta e felicità, ad uno o più servizi giornalistici televisivi che hanno come argomento centrale macabri omicidi, un serial killer di donne, e via dicendo. Molto intelligente e di grande capacità documentaristica soprattutto (Berlinger è da ricordare che viene da quel mondo lì, da recuperare ciò che fece sui Tre di West Memphis per esempio). Molto intelligente perchè ci sta comunicando: “Hey quella famiglia non è nemmeno lontanamente perfetta come credete, quell’uomo è un serial killer di donne”. Dunque l’approccio di chi guarda cambia totalmente, e le immagini della famiglia felice vengono analizzate con tutt’altro occhio e considerazione. Da qui diviene chiaro come questo film non possa certamente essere un racconto sentimentale (pur avendone moltissimi elementi), un doc di cronaca nera, ma nemmeno un thriller. Un ibrido. Strano prodotto quest’ultimo lavoro di Berlinger che si muove di continuo tra più generi, tra cui infine il legal thriller alla John Grisham. Interessante quindi come Berlinger ci mostra nel corso dei processi i volti, le false certezze dei famigliari, amici o semplicemente conoscenti del Ted Assassino.

CANI ARRABBIATI, THE LETTER, LUCKY MAN

Continua la trasformazione e lo sviluppo imprevisto ma pur sempre prevedibile ed indeciso del film, che in pochi minuti passa da un genere all’altro senza alcuna logica ben precisa, come a voler abbracciare più pubblico possibile, accontentando le famiglie (con gli elementi comedy), il pubblico spiccatamente femminile (con gli elementi della rom-com), gli interessati al caso (con gli elementi del doc e del legal thriller) ed i semplici fruitori di una vicenda rocambolesca cinematografica (con i rari elementi thriller action). Interessanti alcuni brevi sprazzi di cattiveria cinematografica e spietatezza di fronte al tema trattato di analisi sul personaggio. Il confronto tra Ted ed un cane, in cui il riconoscimento del male da parte di quest’ultimo viene messo in scena in modo così lucido, sfacciato e bambinesco da risultare estraneo a tutto ciò che abbiamo visto fino a quel momento. Molto forte. Un po’ come avviene all’interno dei film a sfondo fantascientifico, poichè i cani sono sempre in primi ad accorgersi dell’arrivo/presenza degli alieni. In questo caso non c’è alcun alieno, c’è il male, nella sua forma più pura ed allo stesso tempo nella sua banalità. Proprio perchè Berlinger analizza e mostra un uomo qualunque, al di sopra della media sul piano prettamente estetico, ma non intellettuale (nonostante alcuni eventi facciano credere il contrario), passare dall’altra parte, non più del brav’uomo ma della bestia. Dunque si passa dal riconoscimento del male nelle aule di tribunale, al riconoscimento del male all’interno di un canile. Papillon ed i continui rimandi che si ripetono a lungo nei discorsi tra Ted e Liz via telefono, in cui chiaramente Ted cerca di sviare e far sfociare l’intera faccenda verso la direzione del complottismo, dell’innocenza da sacrificare per qualche causa superiore, del vittimismo e via dicendo, continuando sempre a proclamarsi innocente. Berlinger in questo è molto scolastico e schematico. Ecco perchè pare che il film non funzioni tanto in termini di lungometraggio cinematografico, quanto in termini di documentario cinematografico/televisivo. Interessante inoltre l’ironia ed il divertimento che Berlinger aggiunge ad alcune sequenze tra cui la fuga rocambolesca dall’aula di un tribunale con tanto di salto di finestra e Kinks in sottofondo, o la sua condanna sempre all’interno di un tribunale, con tanto di ralenty e sottofondo pop allegro e apparentemente fuori luogo, ossia Lucky Man di Emerson, Lake & Palmer. Un film riuscito solo parzialmente, indeciso rispetto al genere di collocazione e di tecnica. Ottima l’interpretazione di Efron che sa muoversi più che bene dai momenti più tranquilli a quelli di violenza fisica importante. Meno buona la prova della Collins, fatta di poca espressività, make up eccessivo ed un gioco di sottrazione per nulla funzionale rispetto agli eventi e alla riuscita degli incastri tra le interpretazioni. Interessante il discorso sul divismo, sul sex appeal che può salvare perfino un perverso criminale (avveniva già per Bonnie & Clyde), sul ruolo gigantesco e prepotente dei mass media nella vicenda Bundy ed infine i costumi, fedeli e rigorosi, apparentemente sottotono e modesti, ma assolutamente centrati e adeguati al contesto da film modesto che vuole raccontare una grande storia. Godibile, ma fin troppo indeciso.

TRAILER:


 
 
 

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