Smetto quando voglio – ad honorem (2017) di Sydney Sibilia
- Eugenio Grenna
- 17 feb 2018
- Tempo di lettura: 3 min

È stata la banda. Quelli non perdono mai. Neanche vincono eh, però il cazzo lo rompono sempre. Pietro Zinni (Edoardo Leo)
Questa la sinossi: È passato un anno da quando la banda di Pietro Zinni è stata colta in flagranza di reato nel laboratorio di produzione Sopox e ognuno dei suoi componenti rinchiuso in un carcere diverso. Da Regina Coeli Pietro continua ad avvertire le autorità che un pazzo ha sintetizzato gas nervino ed è pronto a compiere una strage, ma nessuno lo prende sul serio. Dunque si fa trasferire a Rebibbia per incontrare il Murena, che ha informazioni utili a intercettare lo stragista. Dopodiché Pietro intende rimettere insieme la banda di ricercatori universitari: le menti più brillanti in circolazione in perenne stato di disoccupazione (o detenzione).
Il commento: Finito il terzo ed ultimo capitolo dell’appassionante, divertentissima e folle trilogia di Smetto Quando Voglio, l’impressione è che finalmente il ciclo di Sydney Sibilia sia riuscito a compiere e a fondare una vera e propria mitologia. Sibilia in sceneggiatura raccoglie molto bene i frutti dei film precedenti e riesce nei primi minuti a riportare gli spettatori nel mood proprio della trilogia . Inoltre Sibilia è riuscito a creare uno stile ed un universo cinematografico immediatamente riconducibile a lui, non sono molti i registi che riescono a creare un proprio stile riconoscibile. Dalle atmosfere di leggerezza combinate all’azione a tratti sincopata, di strana epica del nerdismo che costituisce il carattere della trilogia e così via. In questo terzo capitoli ci sono alcuni cambiamenti. Molta più azione, meno comicità, i personaggi si fanno più seriosi ed il film assume toni da commedia nera tosta e action comedy come si deve. Ad Honorem chiude tutte le storie partendo da dove finiva il primo, con Pietro Zinni e tutti i membri della banda in galera, stavolta però con la consapevolezza dei fatti che siamo venuti a sapere nel secondo film, cioè la scoperta del gas nervino che qualcuno sta sintetizzando. Viene ad aggiungersi anche la black story del villain (una parte che mi è piaciuta molto anche per alcune citazioni di cui scriverò più giù), così anche nozioni complicatissime a volte inutili, progetti di fuga dal carcere e così via. Insomma questo terzo capitolo risulta veramente sorprendente, un elemento molto interessante è dato dal fatto che vedendo il film si è vicini ad un prodotto tipicamente italiano ma molto vicino al prodotto black comedy/action comedy holliwoodiano. Finalmente si fa sfoggio di una proprietà di linguaggio e una padronanza del genere inedite. La scena dell’evasione dal carcere di Rebibbia ne è un esempio fondamentale perchè si mescolano tanti stili diversi, con una tecnica essenziale, asciutta, perfettamente credibile, con un rigore ed un montaggio così chiari e perfetti da dare il massimo spazio ad ogni singolo elemento della banda e al suo piano. Una sequenza importante in cui ognuno è importante e nessuno è in secondo piano. Insomma il prodotto finale risulta tecnico, preciso, strutturato, rigoroso e finalmente epico, ma di una epicità seria, pur rimanendo molto nerd. Non sono più nerd con una grande competenza in fatto di sostanze ecc ma sono dei veri e propri antieroi, stanchi, che non hanno più speranze, per quanto riguarda le loro vite, i loro lavori e la loro città. Mi è piaciuto molto questo terzo ed ultimo capitolo, non è un caso che nel secondo capitolo Masterclass Sibilia facesse vedere dei nuvoloni neri in arrivo, leggibili come una sorta di premonizione. Tutto è più scuro, tutto è più serio e c’è un’idea di morte e violenza che sarebbe anche molto forte sulla carta e come idea ma che poi viene trattata con fare da nerd e discorsi molto leggeri e tranquilli. Molto bella la scena del flashback all’interno del tecnopolo in cui da giovani lavoravano insieme Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio) e Il Murena-Claudio Felici (Neri Marcorè). Nella scena in questione si verificano alcuni problemi di blackout o comunque logistici all’interno del tecnopolo, la moglie di Walter Mercurio rimane dunque bloccata all’interno di una camera a tenuta stagna in cui improvvisamente viene rilasciata una sostanza altamente pericolosa. C’è quindi Walter Mercurio che dal vetro della porta vede morire sua moglie che appoggia la sua mano sul vetro contro quella del marito prima di lasciarsi andare. La scena in questione non solo mi ha ricordato il momento in cui la Sandra Brody di Juliette Binoche muore in Godzilla, ma anche la scena in cui Dottor Manhattan si trasforma/muore all’interno della stanza laboratorio davanti agli occhi dell’amico e della moglie in “Watchmen”. Smetto quando voglio – Ad Honorem .. molto bello!
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