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Lo chiamavano Jeeg Robot (Id; 2015) di Gabriele Mainetti. Recensione speciale del primo grande Super


LA TRAMA: Lo chiamavano Jeeg Robot, il film diretto da Gabriele Mainetti, inizia con il protagonista Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) che entra in contatto con una sostanza radioattiva. A causa di un incidente scopre di avere un forza sovraumana. Ombroso, introverso e chiuso in se stesso, Enzo accoglie il dono dei nuovi poteri come una benedizione per la sua carriera di delinquente. Tutto cambia quando incontra Alessia (Ilenia Pastorelli), convinta che lui sia l’eroe del famoso cartone animato giapponese Jeeg Robot d’acciaio.

IL MIO COMMENTO: 

  Non è Gotham, nemmeno il West..è Tor Bella Monaca 

Enzo Ceccotti (un sorprendente Claudio Santamaria) corre e si dà alla fuga nella sequenza d’apertura di “Lo Chiamavano Jeeg Robot”, film di Gabriele Mainetti del 2016. Una corsa che è disperata e sbandata, ma che ci coinvolge , grazie all’ottimo uso della macchina da presa e ci trasporta in quella realtà lì, presentandoci con grande impatto e senza mezze misure il nostro protagonista per quello che è: un delinquente. Non ci sono dialoghi, soltanto urla (dei criminali che lo stanno inseguendo e che sicuramente sono peggio di lui) e respiri affannosi di un uomo disperato che sa di essere in pericolo (Enzo Ceccotti), motivo per il quale si nasconde in un simil container sulle acque del Tevere. Ne segue la sua caduta in queste ultime e la rapida ma dolorosamente atroce trasformazione in supereroe, raccontata attraverso brevi sequenze e con una quasi totale assenza di parole. Mainetti in questo modo dimostra di saper portare avanti una narrazione filmica notevole, già soltanto con l’uso delle immagini. Non sono molti i registi italiani a vantare questa dote. Man mano che il film procede, veniamo introdotti in una realtà romana di periferia, criminale e apparentemente senza leggi. Popolata da delinquenti di piccola/media statura, gangster improvvisati, mafiosi e “cattivi”veri. Ciò che sorprende davvero è il fatto che Mainetti e il suo team di sceneggiatori (Guaglianone e Menotti) scelgano di dipingere tutti questi pericolosi personaggi, chi più, chi meno, come dei veri e propri freaks. Basti pensare al gangster improvvisato con decise venature da psicopatico, “Lo Zingaro”. Un freak pericoloso ma allo stesso tempo buffo nella sua crudeltà che, alterna esplosioni inaspettate di violenza (l’iphone bianco) a gag più o meno comico/grottesche (le cantate di “Un’emozione da poco” della Oxa e “Non sono una signora” della Bertè). Un villain (interpretato eccezionalmente da Luca Marinelli) giocato sul citazionismo cinematografico, impossibile infatti non pensare al Joker (specie in alcuni momenti) versione Heath Ledger della trilogia Batman di Christopher Nolan. Per il resto il film ha una trama piuttosto classica e convenzionale nel contesto del superhero movie ma anche del western in qualche modo. Il protagonista che senza alcun merito o ragioni precise, si ritrova ad avere grandi responsabilità (che ciò avvenga per poteri speciali acquisiti o per un compito commissionatogli), a dover aiutare persone a lui inizialmente estranee ed infine difendersi da villain o personaggi negativi che vorrebbero acquisire i suoi poteri o semplicemente mettergli i bastoni tra le ruote. Non è convenzionale il fatto di aver anticipato quell’idea di supereroe/antieroe sboccato, violento e senza pregi,che da lì ad un anno avrebbe portato nelle sale in grande stile il Deadpool di Ryan Reynolds. Il nostro per esempio va avanti a furti, videocassette pornografiche e yogurt alla vaniglia. Insomma questo film all’interno del panorama cinematografico italiano si rivela innovativo, sorprendente, dall’anima indipendente ma di puro intrattenimento e azione, con la volontà di essere allo stesso tempo mainstream e originale. Gli effetti speciali che qui contano ma non così tanto, sono soddisfacenti, fatta eccezione per alcuni momenti tra cui lo scontro finale. Quattro a mio parere sono le chicche di questo film: 1) L’importanza affidata all’attore/attrice spalla, penso alla Pastorelli che è davvero sorprendente nel tratteggiare la sua Alessia, ma anche la Truppo nei panni della mafiosa napoletana con il chiodo fisso del fuoco. 2) Il gioco continuo tra i generi cinematografici (il superhero movie, il western, il gangster movie, il dramma e l’action).3) Il citazionismo cinematografico. Sul finale impossibile non ricollegare ciò che avviene in Jeeg ad uno delle sequenze più emozionanti de “Il cavaliere oscuro – il ritorno”(2012). 4) L’importanza che Mainetti attribuisce ai mass media nel corso del film, poiché tornano in diverse situazioni sotto differenti spoglie. Da Youtube per le prime apparizioni di Enzo in versione supereroe, alla volontà malata dello zingaro di diventare celebre sul Web inteso in senso generale. Insomma, finalmente anche l’Italia ha il suo primo grande super hero movie. L’unico che sicuramente all’interno del panorama cinematografico internazionale, può godere di una scena da brividi per quanto bella e sopra le righe, in cui un villain psicopatico e dall’aspetto orribile, uccide alcuni dei suoi nemici sulle note di “Ti stringerò” dei Nada. Il tutto condito da un sapiente uso del rallenty, tipico di molto cinema western, basti pensare al Peckinpah de “Il mucchio selvaggio” del 1969.

 
 
 

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