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Kuso (2017) di Flying Lotus – Torino Film Festival 35


Trentacinquesima edizione del Torino Film Festival. Quinto film che ho visto nel periodo in cui ho potuto frequentare il festival. Bene, questa recensione è la prima parte di una discussione “ampia” di tre film, poichè questo “Kuso” è stato il primo film proiettato durante la maratona horror al cinema Massimo che si è tenuta tra sabato 25 novembre e domenica 26 novembre di questo 2017 pieno di sorprese a livello cinematografico. Il film in questione è diretto da Flying Lotus, musicista e rapper californiano che, debutta con Kuso, un film che non mancherà di far scalpore. La trama è apparentemente molto semplice: in una Los Angeles post-Big One, seguiamo le vite parallele di alcuni sopravvissuti, tra insetti giganteschi e da incubo, decomposizioni organiche, ossessioni scatologiche, mutilazioni genitali. Purtroppo però questa trama apparentemente molto semplice appartiene ad un film estremamente complesso, forse privo di significato e di logica, dunque ne risulta che la trama scritta in precedenza non gli possa nemmeno appartenere. Tanto per capirci: Kuso è uno di quei film attorno al quale, dal giorno della sua anteprima al Sundance di quest’anno, sono fiorite dicerie e leggende metropolitane su fughe di massa dal cinema, malori, malesseri e incazzature. Quanto di tutto questo sia vero e proporzionato, è tutto da capire: ma quello che è sicuro è che Kuso è uno dei film più fuori di testa e più disgustosi che abbiate mai visto in vita vostra. Anzi, qualcuno l’ha definito: “il film più disgustoso di tutti i tempi.” Kuso è un mix perverso e bizzarro di horror, commedia, dramma, umori corporei, scatologia e surrealismo, che cita direttamente o indirettamente autori come Cronenberg, Lynch, Tsukamoto e Korine, ma anche Švankmajer e i videoclip di Chris Cunningham. ha fatto discutere – si fa per dire – da quando è stato proiettato al Sundance 2017, dove il pubblico è scappato indignato dalla sala. Successivamente il regista ha affermato di aver avvisato la gente sul contenuto del film e che comunque solo il 20% dei giornalisti è fuggito. Kuso, ad ogni modo, è abbastanza una schifezza. È una schifezza nel senso di “contenitore di immagini estremamente sgradevoli”, ed è una schifezza anche nel senso di film inequivocabilmente brutto. Insomma, Kuso fa abbastanza schifo. Peccato, un po’ ci credevo in Flying Lotus. A metà tra il videoclip osé e l’opera visiva sperimentale, dunque, Kuso non è propriamente”cinema”. Costruito sommando 4-5 storielle indipendenti della durata di 15 minuti, il lavoro di Lotus è piuttosto una somma di video di youtube incollati tra loro. A fare da separé, ci sono degli intermezzi televisivi trash. In mezzo abbiamo una sarabanda di porcherie e atrocità messe insieme alla buona, tra vomito, muco, bubboni, croste, liquidi corporei e violenza estrema. L’orrore, o meglio lo schifo, bisogna tuttavia saperlo anche filmare, non basta metterlo davanti alla telecamera, e FlyLo purtroppo non ne è capace. Kuso ti passa davanti con la sua vendemmia di orrori lasciandoti piuttosto indifferente (nel caso di spettatore attivo che guarda con occhio critico) oppure terribilmente scioccato e schifato (nel caso di semplice spettatore in cerca del solito divertimento cinematografico). Cunningham/Aphex Twin, Cronenberg, Ken Russell, tutto sembra copiato e rincollato, frullato insieme all’insegna di un divertimento che è specifico del solo Lotus. Divertissement, insomma. In un paio di sequenze, forse, uno sghignazzo salta fuori: il feto strappato e fumato all’urlo di “Fetolity!”. Per non parlare della scena in cui viene filmato integralmente il pompino “foruncoloso” finale. Così, dopo un’ora e mezza di noioso festival di scoregge e sangue, uno ripensa a quando i Midnight movies erano davvero un gesto shock di critica estetica (Pink Flamingos, Eraserhead, El Topo), scende per un secondo a patti con il proprio amore per il cinema underground e fuori dagli schemi, e si dice: “ma perché sto guardando questo contenitore di merda?”. Il regista gioca la carta del disgusto estremo per tentare di costringere l’avventato spettatore (in molti al Sundance, dove è stato proiettato in anteprima, hanno lascito la sala prima dei titoli di coda) a cogliere la vera natura umana e a riflettere sulla società (americana soprattutto), ma il risultato dell’esperimento avanguardista è altalenante. Kuso non si può definire un vero e proprio film. E’ più una sequenza di disgustose immagini animate e narrazioni disparate (abbiamo tutto il campionario di liquidi corporei vari, dal pus, alle feci, allo sperma …) tenute insieme da una cornice fatta di brevi segmenti televisivi alternati a rumore statico a suggerire “lo zapping tra i canali”, diversi per tecniche ma simili per la vacuità e l’ossessione per la scatologia. Le vicende narrate si stanno svolgendo dopo un devastante terremoto che ha colpito Los Angeles. Tutti i superstiti hanno collo, labbra o fronte ricoperti da bolle, hanno piaghe e ferite aperte sul corpo. Una vera pestilenza, cui si aggiungono vermi, scarafaggi e creature frutto di mutazioni, che vengono gettati nel mucchio a sottolineare ulteriormente il degrado generale. Cercando di mettere ordine, la storia comprende: una giovane coppia che fa sesso estremo all’interno del loro appartamento, leccando a vicende il rispettivo pus e cantando canzoni; una donna più anziana che parla in giapponese e che cade in un “buco” dove viene terrorizzata da una ragazzina cattiva, poi dal suo mostruoso bambino; un uomo apparentemente affetto da sindrome di Down che “alimenta” una sorta di pianta carnivora gigante in un bosco fino a quando questa non produce una testa umana; una giovane donna che guarda la TV seduta sul divano in compagnia di due esseri ricoperti da pelliccia che ricordano peluche (immaginate Sulley di Monsters e Co.) e una televisione al posto della testa; infine la visita di quest’ultima a una clinica medica, dove un uomo con una disfunzione imbarazzante – non può sopportare la vista delle tette – viene “curato” (il ‘come’ lo scoprirete da soli se vorrete … sappiate che c’entrano uno sfintere e una sorta di grillo gigante …) da un “non-medico” interpretato dal musicista funk George Clinton. l’indugiare su dettagli schifosi alla fine fa perdere di significato a ciò che si sta guardando, relegando in definitiva il film a una sequela di scenette create ad arte per offendere gli spettatori più sensibili. Certo non manca il merito di aver incollato insieme qualcosa di così vago in un lungometraggio, provando a dargli forma compiuta, così come un plauso va alla realizzazione delle sequenze animate nei modi più disparati (dall’argilla al computer, dai burattini al disegno manuale). Ci sono molti schermi televisivi in Kuso – il film inizia con una specie di cantante/imbonitore che sermoneggia sull’Apocalisse, avanzando poi tra spezzoni che ricordano i talk show e gli annunci anni ’80 delle pay-per-view – tutti comunque a suggerire una riflessione sul nostro presente, dal voyeurismo del cambio di canale casuale al modo in cui immagini di violenza e di catastrofi reali sono diventate di per sé una forma di pornografia virale. Se il film non fosse tuttavia così ingenuamente autoconsapevole, la visione risulterebbe difficoltosa e non tanto per le schifezze e le imbarazzanti porcate messe in scena. “Odio questo cazzo di film. Questa roba è spazzatura”, dice la ragazza sul divano all’alieno peloso doppiato da Hannibal Buress, guardando un uomo a cui vengono ripetutamente pugnalati i genitali. “Tossicamente scioccante”, esclama un coppia di presentatori TV incredula. Una nota di levità all’insieme che ne sfuma il potenziale eccessivamente ridondante e serioso. gli aspetti più interessanti di Kuso non hanno nulla a che fare con il suo sadismo, quanto piuttosto con la tensione tra quel sadismo e i momenti occasionali di splendore visivo, che sembrano derivare da artisti come il Terry Gilliam delle animazioni cut-out di Terry Gilliam per i Monty Python. In definitiva, traspare in qualche modo la volontà di Ellison di mescolare senza soluzione di continuità arte, musica e critica sociale per creare qualcosa che attraverso la repellenza porti lo spettatore a una riflessione più profonda dell’epoca in cui stiamo vivendo, ma la mancanza di coerenza lo rende indigesto anche ai più ben disposti verso il body horror estremo. Magari dopo due o tre visioni potrà pure cominciare a prendere forma, ma chi può essere tanto coraggioso?

 
 
 

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