top of page

Il permesso – 48 ore fuori (2018) di Claudio Amendola – Film Recuperati in Home Video


“Stavolta non ci beccano!” Una frase di Angelo (Giacomo Ferrara) La sinossi: Dal carcere di Civitavecchia escono con un permesso di 48 ore 4 detenuti: Rossana, 25 anni, arrestata in aeroporto per traffico di cocaina; il cinquantenne Luigi condannato per duplice omicidio che ha già scontato 17 anni di pena; Angelo, venticinquenne finito in prigione per una rapina compiuta con complici che non ha mai denunciato; Donato, 35 anni, condannato pur essendo innocente. Le due giornate verranno utilizzate da ognuno di loro per cercare di ritrovare e ritrovarsi nelle realtà che hanno lasciato da tempo. I suoi quattro protagonisti hanno storie, età e culture differenti ma sono uniti dal luogo che, seppure temporaneamente, stanno lasciando. C’è chi ne conosce da lungo tempo la dura realtà e chi, perché più giovane, vede nell’uscita un’occasione per metterselo non solo idealmente alle spalle.

Il mio commento: L’onda impetuosa dei “crime movie” all’italiana prosegue incessante. La parabola iniziata con Gomorra e passata negli anni tra i vari Romanzo Criminale e Suburra, giusto per citarne un paio, inizia ad ingolfarsi di mezze storielle poco carismatiche. L’attenzione di Giancarlo De Cataldo, nome di spicco in questo ambiente gangster/noir e comune denominatore tra questi titoli, non basta per nascondere la mediocrità di un prodotto scolastico quale “Il permesso – 48 ore fuori”, secondo lungometraggio di Claudio Amendola, uno che nel corso della sua carriera ha sempre avuto un certo interesse verso la realtà più scura e profonda della criminalità. Non è questo il caso specifico. Per quanto diretto e sboccato, il soggetto della storia mette a confronto quattro piccole storie personali senza andare a mescolarsi fino in fondo alla natura più tristemente celebre del nostro paese. Luca Argentero, Giacomo Ferrara, Valentina Bellè e lo stesso Amendola, sono i quattro protagonisti di questo spaccato sulla rabbia e redenzione di chi si è già marchiato di un peccato capitale impossibile, o quasi, da lavare: il carcere. Tra desideri di vendetta, autodistruzioni interiori o semplice accettazione dei fatti, il film adotta canoni tutt’altro che elementari, combinando perfettamente tutto il comparto tecnico, con la regia e le interpretazioni del cast. Interessante ricordare che «quattro è il numero perfetto per raccontare storie al cinema», così come quattro erano i disperati che nell’esordio di La mossa del pinguino si arrabattavano per sbarcare uno scarno lunario, mettendosi in gioco letteralmente con tutto il corpo, spingendosi (e spingendolo) ai limiti. Nel Permesso, invece, il focus è spostato sul – difficile, tentato, mancato – reinserimento sociale di quattro detenuti che assaporano quarantotto ore di libertà: due di loro per prima cosa, nel goffo tentativo di riappropriarsi della loro vita, decidono di fare sesso. Perché oggi riappropriarsi della propria vita vuol dire riappropriarsi del(la dignità del) proprio corpo, prima di tutto: e forse, al centro del cinema di Claudio Amendola come regista c’è proprio il corpo. Un corpo fortemente materico, centro di gravità esistenziale e metaforico della vita, equilibrio del proprio stare al mondo, simbolo di riscatto e oggetto di redenzione: d’altronde, anche l’Amendola attore rimanda in qualche modo a concezioni fisiche, materiche, sostanziali. Riappropriarsi del corpo. Se La mossa del pinguino aveva spiazzato un po’ tutti raccontando un’umanità brillocca declinata in commedia, con Il Permesso – 48 ore fuori il regista si riappropria in qualche modo del suo genere principale e forse a lui più congeniale, rileggendo e correggendo una sceneggiatura originale di De Cataldo, mettendo a frutto la sua esperienza sui set e soprattutto quella maturata come attore. D’altronde le sue prove migliori da attore sono le sue ultime, ovvero in Suburra e Noi & la Giulia, e qua conferma il suo status molto eastwoodiano: l’Amendola attore incanala un’emozione dolente e dolorosa per ogni sguardo, ed è oggi come il buon vino e come i “grandi vecchi” del cinema americano, sui quali il trascorrere del tempo ha segnato rughe come linee d’espressione (ed ecco che ritorna il corpo). Ma quello che più piace, del film, è come l’ordito narrativo intrecci con equilibrio le quattro storie, dando il giusto respiro all’introspezione – lasciata alle capacità degli attori: ottimi Valentina Bellè e Giacomo Ferrara, fuori scala Amendola, pessimo Luca Argentero con il segmento peggiore di tutti – e lasciandosi il tempo per raccontare anche gli spazi, gli ambienti e i luoghi che, muti, sottolineano il ritmo e calibrano le emozioni (la galera, il lungomare, i Parioli). Certo, la regia a volte carica eccessivamente gesti, situazioni e disperazioni, rendendo teatrale un film che da camera non è, però riesce a lasciare il retrogusto di una commistione di generi che prende forma nel noir emotivo. L’attore supera quindi il regista, che però ha equilibrio e dirige di pancia: e anche se la musica è a tratti ridondante, Amendola dimostra di avere le idee chiare su una sua idea di cinema -non originale, ma di certo sincera, e che non può che fare bene ad un cinema italiano intasato da velleità non corrisposte. Claudio Amendola da libero sfogo al suo desiderio di portare sullo schermo quella doppia personalità ‘liscia e ruvida’ che lo rende un attore completo, capace di interpretare il sottile confine che delimita l’umano desiderio di amore e violenza. Ci riesce in questo film usando le buone qualità espressive dell’Amendola attore e quelle tecno-creative del Claudio chiamato alla seconda prova come regista dopo il debutto con La mossa del pinguino. Gli eccezionali cammei di Valentina Sperli nei panni di Charlotte, l’aristocratica madre della ribelle Rossana e di Antonio Luorio, il cattivissimo Sasa , che gestisce il’ lercio ‘mondo della prostituzione e delle scommesse clandestine del pugilato da strada sono la prova del grande lavoro del regista Amendola che è riuscito a dare il giusto tono noir al film con l’aiuto della ‘nera’ ed intensa fotografia di Maurizio Calvesi. Il risultato è un ottimo prodotto, dove è perfetto l’equilibrio tra il bene ed il male e la violenza proposta è palesemente il condimento necessario per esaltare l’amore. E lo spettatore l’avverte con un piacevole senso di leggerezza e liberazione! Film a mio parere molto interessante, scritto bene e diretto bene, il cinema italiano sta cominciando a sfornare qualcosa di nuovo!

 
 
 

Comments

Couldn’t Load Comments
It looks like there was a technical problem. Try reconnecting or refreshing the page.

Modulo di iscrizione

3662927951

©2020 di Hunting For Movies. Creato con Wix.com

bottom of page