Escobar – Il fascino del male (Loving Pablo; 2017) di Fernando León de Aranoa
- Eugenio Grenna
- 18 mag 2018
- Tempo di lettura: 4 min

“Devi ascoltarmi molto attentamente. Se qualcuno per caso ti offre questa roba tu devi dire no.” Una frase di Pablo Escobar (Javier Bardem) seduto ad un tavolo insieme al figlio, sopra il tavolo un panetto di cocaina pura, il figlio incuriosito ed Escobar che insegna quello che lui farebbe e non farebbe. Un po’ come uno dei momenti più belli di “Black Mass” (2015) di Scott Cooper tra il gangster Jimmy Bulger e suo figlio, il bullismo, il pugno in faccia e i testimoni.
LA SINOSSI: Virginia Vallejo, celebre anchorwoman colombiana ha chiesto asilo politico agli Stati Uniti. Amante appassionata di Pablo Escobar, criminale e trafficante di cocaina senza scrupoli e rimorsi, ha deciso di raccontare alla DEA gli anni della loro relazione e dell’ascesa vertiginosa del ‘patrón’ di Bogotà. Ambiziosa e decisa a saperne di più di quello che diventerà in pochi anni il più ricco e potente trafficante di sempre, Virginia si innamora di Pablo e lo sostiene nella carriera politica sorvolando su quella criminale. Ma i desideri di Pablo sono più voraci dei suoi e finiscono per trascinarla in un abisso da cui le tenderà la mano l’agente Neymar della DEA. La pellicola è basata sul bestseller di Virginia Vallejo, Amando Pablo, odiando Escobar.
IL COMMENTO: Ascesa, vertigine e caduta di Pablo Escobar, il più ricco, potente e spietato narcotrafficante della storia. Dopo Narcos, la serie Netflix, tornano le vicende del famigerato cartello di Medellín, stavolta però raccontate da un punto di vista femminile, quello di Virginia Vallejo, nota giornalista della tv colombiana, amante di Escobar proprio negli anni più infuocati della guerra al narcotraffico. Loving Pablo, Hating Escobar è, difatti, il titolo del libro in cui la stessaVirginia ripercorre la sua storia d’amore, dal primo incontro a un party organizzato dal boss fino alla tormentata collaborazione con la DEA, la Drug Enforcement Administration, l’agenzia federale antidroga degli Stati Uniti. Anni di lusso sfrenato, passione, denaro, ma anche di guerra, terrore, solitudine. Nel momento in cui si apre la guerra tra Escobar e il governo colombiano di Belisario Betancur, che schiererà l’esercito supportato dai servizi segreti americani, la Vallejo si ritrova alle strette, minacciata di morte da tutti, scacciata dalla tv e impossibilitata a trovare lavoro altrove. Fino alla fine dell’incubo. Escobar – Il fascino del male apre e chiude su Virginia Vallejo/Penélope Cruz, coerentemente. Ma, a dispetto del titolo e dell’ispirazione, non sono né la “storia d’amore” né il personaggio della giornalista il centro del film di Aranoa, che relega tutta la “questione mélo” in secondo piano, per concentrarsi sulla titanica personalità di Escobar e la spirale di violenza innescata dai suoi traffici. Quindi sull’azione più adrenalinica e sovraeccitata, che se da un lato sembra aspirare ai modelli americani newhollywoodiani, dall’altro appare filtrato attraverso le maglie grosse di uno stile televisivo e sovraccaricato. L’inizio è infuocato, con il cavallo investito dalla motocicletta, lo zoo in giardino, il fisico debordante di Javier Bardem, che sembra sempre sul punto di esplodere e collassare. Poi tutto si fa cupo e schizofrenico. Ma nelle soluzioni visive, il film ripiega in una specie di mainstream universale, in una sorta di estetismo buono per ogni paese e ogni conflitto. Il fatto più interessante legato a questo film è rappresentato proprio dall’aspetto forse più inquietante, ma al tempo stesso anche affascinante di Escobar – Il fascino del male. Ovvero, tutto sta nelle sue apparenze posticce, nella sua finzione smaccata, aperta, dichiarata sin dalle prime immagini sull’aeroplano. L’effetto digitale pacchiano, il trucco in bella vista: l’impalcatura e i tubi innocenti ricoperti malamente da tele cerate ingombranti, che al primo movimento scomposto lasciano intravedere l’intelaiatura sottostante… Segni di una follia produttiva, che trova la sua vertigine massima nell’inglese impossibile parlato dai personaggi, una specie di lingua creola intessuta da intercalari e improperi in spagnolo. Ha il punto di vista migliore per raccontare Escobar Loving Pablo, e questo risulta evidente già dalla prima scena, da quando si capisce che tutto il film sarà narrato da Virginia Vallejo, cioè Penelope Cruz, amante del boss e volto televisivo della Colombia. Contribuisce non poco all’impressione il fatto che Penelope Cruz appaia in grande forma, truccata, vestita e parruccata in maniera eccessiva mentre lavora benissimo sul personaggio di una donna dall’intelligenza finissima ma dalle debolezze acute, non diversa quindi da Escobar stesso. Quindi pur non essendo un prodotto cinematografico ottimo, si rivela piuttosto interessante poichè è chiaro che salavorare davvero sui pregi del cinema. Riassume gli eventi ormai noti in fretta (omettendo molti) e sceglie di mettere la lente d’ingrandimento su un aspetto in particolare: la storia d’amore tra i due e come questa donna arrivista, un po’ cinica, molto furba ma anche passionale abbia visto il mondo dei trafficanti. Questa snob riesce per la prima volta a descrivere per bene il mondo sociale in cui entravano i trafficanti, riesce a spiegare dove stesse il loro fascino e come si insinuassero nel cuore di tutti. Fernando Leon de Aranoa non rinuncia ad usare il tono ormai classico per mettere in scena gli antieroi, cioè quel grottesco che scaturisce dal contrasto tra fatti terribili e paradossi comici, ad oggi la maniera più abusata per rendere gli antieroi presentabili, però non tutto Loving Pablo è derivativo e messo in scena con l’uso di questo stilema e di questa tecnica. In una lotta impossibile con la televisione, questo film che non può vantare la precisione di Narcos, ha però la forza della sintesi. Loving Pablo quindi dimostra proprio quel che le grandi attrici lamentano, quanto cioè cinema e tv siano maschilisti e rifiutino di dare alle donne la stessa importanza degli uomini, e lo fa in maniera attiva, ribaltando tutto e sbattendo in faccia agli spettatori la verità: nessuno ha raccontato questa storia tramite una donna ed è evidente che era la maniera migliore di farlo.
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