Detroit (Id; 2017) di Kathryn Bigelow – Recuperato in home video
- Eugenio Grenna
- 26 apr 2019
- Tempo di lettura: 3 min

TRAMA:
A Detroit nel 1967 è in corso una delle più grandi e più intense rivolte della storia degli Stati Uniti. Due giorni di disordini e la notizia della presenza di armi vicino al motel Algiers spingono la polizia a intervenire ricorrendo a interrogatori sempre più violenti che causeranno morti e feriti.
COMMENTO:
Qualcuno ha sparato. Tu sei quel qualcuno. Come ben sappiamo la questione razziale americana è stata per anni uno stigma in grado di provocare la crisi del modello sociale americano nel corso di questi anni. Una crisi attuale, oggi più che mai servono film come questo. Nel cinema internazionale se ne sono occupati in molti, dal quasi capolavoro Moonlight di Barry Jenkins, fino all’ultima fatica di Spike Lee Blackkklansman, un film che racconta del k.k.k. nel momento di stasi, ma aggiornando la vicenda alla nostra attualità e quindi la politica di Donald Trump ed il suo America First. Kathryn Bigelow, una bravissima regista, sceneggiatrice e produttrice statunitense classe 1951, torna a distanza di cinque anni nelle sale con questo potentissimo ed interessantissimo docufilm, Detroit appunto. Anni sessanta, periodo storico in cui la vittoria del Voting Rights Act e quindi nel momento in cui Martin Luther King comincia ad esplicitare posizioni socialista, dove le problematiche razziali sono viste nel loro intreccio con la questione sociale e di classe. La Bigelow racconta quindi una storia di ordinaria follia e violenza perpetrate nei confronti dei neri. Ordinarie per quegli anni chiaramente. Tutto comincia con una retata della polizia alla festa/party di un locale più o meno legale, frequentato da sole persone di colore (quasi tutti uomini) e due ragazze bianche che, verrà chiuso immediatamente in quanto non rispettoso delle leggi e proibizioni legate alla vendita di alcolici. Ne consegue una ribellione di massa che a sua volta si trasforma in una sommossa generalizzata a tutta la città. Ciò che è davvero importante per il film in questione è la regia. Per tutta la durata di Detroit si segue un’instancabile e frenetica camera a mano, colma di movimento irregolari, azioni più o meno casuali e confusionarie ed una moltitudine di volti e voci. C’è sempre molto caos e disorientamento attorno alle dinamiche del film. La violenza inoltre ha un ruolo piuttosto decisivo e di grande impatto, talvolta sorprendente e assurda all’interno del contesto. Detroit si sviluppa attraverso tre differenti piani narrativi. Ma soltanto uno di questi tre, quello di mezzo, gioca un ruolo centrale, essendo anche il più lungo in termini di durata, più o meno un’ora di film. Un gruppo di militari appostati in un punto di Detroit sente alcuni colpi di pistola, per questo motivo, credendo che fossero indirizzati allo stesso, segue gli spari e raggiunge una pensione/hotel di bassa lega, per poi farvi irruzione. Lì si stava svolgendo una piccola festa. Immediatamente tutto diventa piuttosto teso e i registri drammatici prendono il sopravvento sul resto, assistendo quindi ad un’escalation di violenza, sadismo e assurdità, legati al razzismo piuttosto pesanti e fastidiosi. L’arma da cui quegli spari sono partiti è sparita e questo scatena la follia. La violenza non è estrema e anche gli atti di tortura che seguiamo, sono sempre totalmente psicologici , così come i vari episodi di abuso e sevizia, legati alla paura e ad una sorta di lavaggio del cervello per scovare il colpevole tra tutti quegli innocenti. Il racconto è quello legato ad un manipolo di folli e perversi poliziotti, un’indagine sul loro sadismo e razzismo che abbiamo già visto in molti altri film, anche se mai analizzati attraverso questa lente. L’idea di incentrare tutto il racconto sull’evento dell’Algiers Motel, così poco conosciuto, significa da parte della regista e degli sceneggiatori la necessità e la volontà di prestare una grande attenzione alle piccole storie che si fanno portatrici di grandi significati, così come un’attenzione non indifferente al dettaglio. Così come la decisione di girare il film attraverso questa tecnica a metà strada tra il mockumentary ed il documentario, con repentini ed altamente confusionari movimenti di macchina, chiara metafora della condizione psicologica e della sensazione di quegli stessi afroamericani continuamente soggetti a razzismo e violenza. Una scelta piuttosto efficace che rivela la bravura e la potenza filmica della Bigelow. La parte che meno convince è invece il terzo atto del film, quello più legal drama/thriller che, ci mostra l’impunità della polizia bianca di Detroit. Niente o quasi all’interno di quel terzo atto è visivamente d’impatto o comunque in grado di interessare realmente lo spettatore. Il film è comunque molto interessante, per tutto un suo collegamento alla politica, nel modo in cui si elabora e mette in scena la violenza razziale presa in esame dall’ottima regista. Consigliato sì!
TRAILER:
Comments