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Cuori in Atlantide (Hearts in Atlantis; 2001) di Scott Hicks – Film Ricordi Di Un’Estate


La lettera: “Caro Mr Garfield è con immenso dispiacere che la informo che il 9 gennaio 2000, John Sullivan è rimasto coinvolto in un incidente d’auto, nel quale ha perso la vita” Robert “Bobby” Garfield – Quando ne ha voglia, il passato torna a trovarti sfondando la porta, e non si sa mai dove ti porterà, puoi soltanto sperare che ti porti in un posto in cui vuoi andare Ted Brautigan – Sai, quando sei giovane hai dei momenti di una tale felicità che credi di vivere in un posto magico, come deve essere stata Atlantide. Poi si cresce, e il cuore ci si spezza in due Ted Brautigan – Siamo tutti di passaggio ragazzo, siamo qui solo di passaggio Robert “Bobby” Garfield – Ted aveva capito tutto, non viviamo in Atlantide. Mia madre trovò un lavoro vicino a Boston, e io ero preoccupato naturalmente, però c’era una cosa, non avevo più paura e dovevo ringraziare Ted per questo Robert – Carol, noi stiamo partendo Carol – Oh no Robert – Tieni è il mio indirizzo del Massachusetts, vero che mi scriverai? Carol – Ma certo Robert – Ti scriverò anch’io, probabilmente avrò molta nostalgia Carol – Non ti dimenticherò mai…..sei stato tu a picchiare Harry Dulin? Robert – Mhm (con cenno di affermazione) Carol – Bravo, bravo (I due si baciano) Robert – Carol, aspetta Carol – Non posso adesso Robert – Ma io … Carol – Ti amo anche io Bobby Garfield, ma adesso preparare l’nsalata Lei entra in casa e lui se ne va in auto Only You dei Platter in sottofondo Ted Brautigan – Io non ho mai visto una ragazza speciale come Carol Gerber Robert “Bobby” Garfield – Ce ne sono milioni Ted Brautigan – Ah si? Non l’hai ancora baciata? Robert “Bobby” Garfield – Che schifo Ted Brautigan – Oh lo farai credimi Robert “Bobby” Garfield – Neanche morto Ted Brautigan – Lo farai, e sarà il metro con cui misurerai tutti gli altri baci della tua vita, trovandoli scarsi Robert “Bobby” Garfield – Non seppi mai più niente di Ted Brautigan. Non è che l’abbia dimenticato, l’ho ricordato sempre. Non lo scorderò mai, perchè quell’estate fu l’ultima della mia infanzia, e sebbene non mi sia più capitato di leggere i pensieri della gente, Ted mi aveva lasciato un dono duraturo. Fece una gran cosa, mi aprì gli occhi e ci fece entrare il futuro. È valsa la pena di conoscerlo, non me lo sarei perso per niente al mondo” Introduzione alla recensione: Questo è il primo appuntamento di una serie di recensioni che andranno sotto la definizione “Film Ricordi Di Un’Estate”. Si tratta di film antichi, ma anche di film nuovi, indipendenti o commerciali che siano, in grado di rimandare a quelle atmosfere estive magicamente cinematografiche e degne di appartenere ad un determinato filone di film molto belli. Cuori in Atlantide apre questa nuova categoria di recensioni all’interno del mio blog

La sinossi: Un vecchio guantone da baseball ricevuto improvvisamente per posta costringe Bobby Garfield, affermato fotografo di mezz’età, a ritornare indietro nel tempo e nel luogo, a quella lontana estate del 1960, quando straordinari eventi segnarono la fine della sua infanzia. È la mattina del suo undicesimo compleanno quando, nella casa dove Bobby (Anton Yelchin) abita con la madre, arriva Ted Brautigan (Anthony Hopkins). L’uomo è tormentato da un passato misterioso, e da strane trance precognitive che lo angosciano, eppure è in grado di instaurare col ragazzino un profondo rapporto di amicizia, prestandogli quelle attenzioni che la madre vedova (Hope Davis), troppo amareggiata e disillusa, non è in grado di dare al figlio. È così che Bobby scopre i valori dell’amicizia e del coraggio, ed è così che si innamora per la prima volta della sua compagna di giochi, Carol. Con il passare dei minuti è chiaro però che gli eventi precipiteranno e che non tutto avrà un finale lieto e gioioso.

Il mio commento: Cuori in Atlantide è uno di quei film sul racconto estivo, in grado di mescolare il dramma al teen movie, ma anche la fantascienza e l’horror con temi di ordine politico e sociale. Stephen King è probabilmente uno degli autori più sfruttati dall’industria cinematografica. Ma sebbene i suoi romanzi siano per molti lettori un film in parole, al cinema non hanno mai raggiunto un risultato soddisfacente, a parte qualche eccezione come “Stand by me”, per quanto mi riguarda vero e proprio capolavoro. Sebbene lo scrittore americano sia straordinario proprio nelle caratterizzazioni di personaggi giovanissimi, creando indimenticabili undicenni nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, la sua arte non si ritrova quasi mai nei film che ispira. Fa eccezione il film diretto da Scott Hicks. Ci sono dei film che, anche se vengono “sbagliati”, ti piacciono lo stesso. Se sei uno spettatore attento ed appena smaliziato ti accorgi dei loro difetti già mentre li vedi in sala, eppure posseggono lo stesso quel qualcosa che non ti fa rimpiangere per niente di aver speso il prezzo del biglietto. Nel caso di Cuori in Atlantide si tratta soprattutto del tono triste, oseremmo dire funereo, che Hicks imprime alla messa in scena: già il racconto di Stephen King (leggetevi i primi due dell’omonima raccolta!) conteneva in sé una certa malinconia di fondo, che però viene tradotta dal regista australiano in una vera e propria elegia funebre ad un tempo passato, come appunto la giovinezza-l’innocenza perduta. La bella sceneggiatura del grande William Goldman screma il testo originale di quasi tutte le componenti horror-fantascientifiche, e dedica invece ampio spazio al melodramma ed al rapporto tra il vecchio ed il bambino. Ne viene fuori così un film che invece di essere un giallo avvincente è invece un buon racconto di amicizia e di lealtà. Anthony Hopkins si adatta al proprio ruolo con aderenza, riuscendo dunque a fornire una delle sue numerose grandi interpretazioni. I piccoli attori del gruppo sono invece molto bravi, a partire dalla giovane Mika Boorem. Una volta tanto poi lo script è riuscito a migliorare il racconto di partenza con l’introduzione di un prologo e di un epilogo che relegano la vicenda ad un enorme flashback: soprattutto la fine del film, così volutamente triste e poco consolatoria, chiude a nostro avviso perfettamente una storia di fantasmi e di rimpianti. Alcune cose non vanno troppo, per esempio la regia di Hicks, che a tratti è ispirata – vedi la scena al luna park – spesso e volentieri si fa però troppo trattenuta nelle scene più forti, che potenzialmente potevano regalarci grossi momenti di cinema. Se nel bellissimo Stand by me – ricordo di un’estate si affrontava la perdita dell’innocenza, in Cuori in Atlantide si affronta una perdita biologica prima ancora che spirituale dell’innocenza, leggera e sincera, in cui il diventare adulti coincide con la conoscenza della realtà, grazie ad un uomo enigmatico che pian piano rivelerà di avere dei poteri che sembrano interessare molte persone. Come per The Majestic, il film che il regista Frank Darabont ha realizzato con Jim Carrey riguardo la storia di una vittima del maccartismo, il clima da caccia alle streghe, la minaccia comunista restano sospese nell’aria di un racconto emozionante fatto di amicizia, passione e bellezza. In cui un bambino cerca di capire se stesso e il proprio presente, tramite un estraneo con cui confrontarsi e cui sentire raccontare le storie degli eroi del football e dal quale guadagnare un dollaro alla settimana per la lettura del giornale. Cuori in Atlantide non è solo un film che racconta una storia o un’intrigante metafora dell’importanza dell’essere giovani nel cuore, assaporando quelle giornate che ti appaiono eterne. Questo film di cui è protagonista uno straordinario Anthony Hopkins è il senso stesso di un ricordo, quando tutto sembra terminato e – soprattutto – quando il passato ci appare finalmente nella sua giusta luce. Quella di un’estate lontana un milione di anni impressa nel volto di una bambina di una foto in bianco e nero. Un ragazzo che con la sua bicicletta rosso fuoco imbocca un viale d’autunno pedalando con pacata ma risoluta vitalità e un sorriso pieno di speranza anche se venato di malinconia, mentre una voce off, lontana nel tempo, di quel ragazzo ormai adulto richiude negli abissi della memoria il ricordo di un’estate, di un incontro, di una scorperta. Immersa nelle luci calde e avvolgenti del grande Piotr Sobocinski, direttore della fotografia kieslowskiano (“Film Rosso”) cui il film è dedicato, questa immagine pur così convenzionale da un tono di dolce e struggente rimpianto, concede al terzo lungometraggio dell’australiano Scott Hicks la possibilità di spiccare del tutto volo, nonostante già sceneggiatura e regia poggiassero su buone basi. Per me un grande film, non è uno di quei filmoni con budget spropositato, è uno di quei piccoli film che riescono in qualche modo a farti tornare indietro nel tempo, permettendoti di rivivere quelle storie estive, facendo in qualche modo sentire il profumo dell’estate che porta con sè tante emozioni diverse, tra cui la malinconia, che nel film in questione conta moltissima, in sceneggiatura e nella regia. Un film malinconico, ma anche innamorato della storia che racconta e dei suoi personaggi. Non è un capolavoro ma è un grande film!

 
 
 

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