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Blue Ruin (Id; 2013) di Jeremy Saulnier – Film Recuperati in Home Video


Sam: I’d forgive you if you were crazy, but you’re not. You’re weak. La sinossi: Dwight conduce un’esistenza misera e solitaria: senza una casa in cui vivere, dorme in una vecchia Pontiac e si accontenta del cibo che riesce a recuperare dai cassonetti dell’immondizia. Quando scopre che il responsabile del brutale omicidio dei suoi genitori, causa scatenante della sua deriva sociale, è tornato in libertà, il desiderio di vendetta diviene un’ossessione. Per mettere in atto il suo piano sanguinoso dovrà tornare in Virginia e fare i conti con il proprio passato, pronto ad affrontare e annientare colui che gli ha distrutto la vita anni prima.

Il mio commento: Storia di una vendetta che diventa spirale di violenza potenzialmente inarrestabile, proposta in forma di pedinamento del protagonista, Blue Ruin racconta, per graduale accumulo di informazioni, la rivolta di un uomo normale che si sviluppa in un’escalation di violenza efferata, all’insaputa della polizia, tenuta sistematicamente lontana dagli eventi. La storia procede, dunque, senza scoprire le carte, evidenziando per tappe tutto il pregresso, i sanguinosi misfatti che hanno portato alla situazione attuale di rivalse incrociate. Il film convince per lo straordinario lavoro sui toni, la stravaganza di alcuni momenti non intaccando l’intensità drammatica del costrutto e mischiando con grande disinvoltura brutalità e straniamento, il registro dark in felice connubio con l’intelligente intelaiatura. Molto ben scritto, con dialoghi secchi e un’azione sempre motivata e tesa, Blue Ruin è molte cose: parte come un road movie, ha momenti da puro action, vanta personaggi e situazioni da commedia nera – con derive splatter (la freccia conficcata nella coscia) -, asseconda le istanze della tragedia familiare (il massacro finale). Tale varietà non va a discapito della compattezza, anzi, il film si fa forte della sua mutevolezza, fa leva strategicamente sui cambi di prospettiva, li piega alle ragioni della suspense, senza mai scivolare nel cervellotico, ma perseguendo la sua logica lineare (You point the gun. You shoot the gun) senza sgarrare una sola sequenza. Il risultato è un’opera sorprendente, mutante come il suo protagonista (che non a caso, una volta che si rade la barba e si taglia i capelli cambia fisionomia), girata con sottile distanziamento, con superbo lavoro sul suono (efficacemente partecipe del dramma del protagonista), in cui se è facile individuare dei riferimenti, appare anche gratuito enumerarli, stanti l’incisivo e originale modo in cui Jeremy Saulnier fa uso degli ingredienti e la disinvoltura con cui, mescolandoli, rende significativi dettagli e situazioni. Miglior film in competizione al TFF 2013, colpevolmente ignorato dalla giuria. Imperdibile. Blue Ruin si apre con un barbuto Macon Blair che vive in macchina, raccatta il cibo dai bidoni della spazzatura e per qualche strana ragione cerca di procurarsi un’arma. Sembra un Into the Wild in salsa thriller. Poi arriva l’omicidio, immotivato (forse), sanguinario (certo) e tutto cambia. Blair è il carnefice, ma si trasforma subito in vittima e inizia la caccia all’uomo. Sembra un film di Sam Peckinpah, ma senza il ralenty. Blair ha ucciso per difendersi da una vendetta che ha già portato all’omicidio dei suoi genitori. Ma il sangue, si sa, chiama sangue e i fratelli dell’assassinato si mettono sulle tracce di Blair. Insomma sarà una carneficina famigliare nel cui finale Saulnier (anche sceneggiatore) darà l’ultimo colpo di coda che scava nel profondo.Un meccanismo perfetto, che funziona e aggredisce allo stomaco. Lo sguardo è quello disperato, di un film che si prende (giustamente) sul serio, senza però rinunciare a quello sguardo popolare che rimanda a un altro tipo d’intrattenimento. In Blue Ruin, il sangue scorre a fiumi, ma la violenza si stempera in una contenuta ironia (la scena del tiro al bersaglio col fratello rapito e nascosto nel baule) che però non svacca mai nello humour di grana grossa a cui Tarantino ci ha abituati. Forse un altro modo di intendere il cinema lo abbiamo trovato. Non sbaglia un’inquadratura Saulnier – quella parziale sulla vasca, l’uscita dalla finestra, l’obliquo sulla spiaggia – in questo prologo che poi si dimostrerà vero e proprio manifesto ed entrée di tutto il film. Un revenge movie atipicissimo, non tanto per le dinamiche -che, anzi, sono quasi da libro stampato- ma per come il regista le racconta. Siamo dalle parti di quelle opere che non ti spiegano nulla o, se lo fanno, lo fanno solo poi. Un homeless ridotto veramente male (ottimo, due mezze scene bastano ed avanzano) viene a sapere che qualcuno è uscito di prigione. La sua vita acquista un senso nuovo, finalmente c’è qualcosa per cui vivere (o morire) che possa sostituire quella non vita che ormai si porta dietro da anni. L’automobile scassata e impallinata di proiettili sulla quale viveva viene rimessa non in sesto ma almeno in funzione. Si parte, bisogna saldare conti col proprio passato. Parte così un film che non ha un antefatto e che non ci offre nemmeno degli “obbiettivi” nella narrazione. Viviamo quello che vive il protagonista senza sapere o riuscire a capire assolutamente quello che gli accadrà o farà nella scena successiva. Per capirsi, in altri film di vendetta, come Oldboy, come KillBill, pur non potendo prevedere gli accadimenti sappiamo benissimo quali sono i propositi dei protagonisti, quale sarà probabilmente il finale (l’incontro con Woo-jin, quello con Bill), quali potrebbero essere i passaggi intermedi. Qua no. Anzi, se possibile Blue Ruin inizia da dove gli altri revenge finiscono, ovvero con l’omicidio del “nemico” principale”. Assistiamo ad una scena dietro l’altra legate talvolta in modo arbitrario. Poi sì, ricostruisci tutto, ma a volte rimani destabilizzato da una narrazione così particolare. Lui che va in quel locale, lui che va da quella donna, lui che cerca quell’amico, lui che va in quello chalet, lui che fa questo e quest’altro. Dopo essersi fatto conoscere nel circuito indie con la commedia a tinte horror Murder Party, Jeremy Saulnier porta a Torino un progetto molto personale, da lui diretto, scritto e fotografato. Accodandosi nel festival al gruppo di film provenienti dalla scena indipendente americana, Blue Ruin rischia in diversi momenti di finire imprigionato nelle marche stilistiche sempre più ripetitive di questo tipo di cinema. Saulnier lavora molto sui tempi sospesi, su sonorità tra l’onirico e l’allucinato, che pur rappresentando le angosce e i tormenti di Dwight danno al film un forte senso di già visto. Per fortuna allora che il percorso compiuto dal personaggio sia tanto forte e intenso da evadere dalla gabbia formale in cui Saulnier stesso cerca erroneamente di rinchiuderlo. Tuttavia il vero paradosso di un film come Blue Ruin – che è comunque un buon film – è il voler costruire una storia di genere senza fidarsi degli strumenti tipici di questo tipo di cinema. Durante la visione è difficile non accorgersi della timidezza con cui Saulnier mette mano agli aspetti più thriller-horror della sua storia, sfruttando poco e male almeno due ottime scene d’azione (due assedi domestici ricchi di potenzialità) che lui stesso si serve in sceneggiatura. Il bello di Blue Ruin sono le tante svolte che portano il film a creare un percorso circolare coerente ma inaspettato, in cui la violenza sembra farsi parte essenziale di determinate zone e fasce urbane degli Stati Uniti. Saulnier mette in scena un meccanismo vizioso che si nutre da solo, ma soprattutto riesce a farlo senza che questo puzzi di schematismo. Il problema sta che nel farlo non sa se prendere la strada del minimalismo autoriale alla Kelly Reichardt o del genere duro e puro, rischiando di fare un’opera che non sia né carne né pesce. Blue Ruin è in questo senso afflitto da lungaggini e sospensioni inutili, tentativi totalmente fuori posto di creare una rappresentazione “autoriale”, mentre invece uno stile più secco, violento e perché no selvaggio avrebbe tanto giovato alla sua resa finale. Allora sì che avremmo avuto un film di genere intelligente e crudo, e non una via di mezzo che cerca di legittimarsi vergognandosi ad esserlo fino in fondo. Tuttavia, nonostante a questo punto possa non sembrarlo, Blue Ruin merita una visione. Grande Grande Film!

 
 
 

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