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Blackkklansman (Id; 2018) di Spike Lee – Film in sala

TRAMA:

Ron Stallworth, un ufficiale di polizia afro-americano del Colorado, progetta di infiltrarsi nel Ku Klux Klan. Riuscendo con successo nel suo intento, finirà con il divenire il capo della sede locale dell’organizzazione.

COMMENTO:

Jason Blum (il re dell’horror del cinema postmoderno) incontra Missisipi Burning! C’è un elemento molto interessante di BlacKkKlansman che passa quasi inosservato, al quale si presta poca attenzione: nel momento in cui il giovane Ron Stallworth diventa il primo poliziotto afroamericano di Colorado Springs, egli non è particolarmente interessato al proprio background razziale, lo vive cioè come una caratteristica qualsiasi. Non c’è alcun sentimento di rivalsa in lui, non si propone per diventare né paladino di una etnia soggiogata né per sabotare dall’interno un sistema a senso unico. Il suo stimolo è la necessità di trovare un lavoro, associato alla curiosità per un ruolo che lo ha sempre affascinato. Ogni evento socio-culturale di BlacKkKlansman è una scoperta per lui, e lo spettatore si adatta al suo punto di vista. È un vecchio Spike Lee che ha capito cosa deve fare il nuovo Spike Lee, e rendersi nuovamente convincente: rivolgersi non più al suo pubblico di riferimento, ma rendere cosciente dalle fondamenta un target il più ampio possibile, utilizzando stilemi – estetici e di genere – assolutamente mainstream. Il razzismo repellente e ridicolo del Ku Klux Klan non è un dato di fatto, ma ci viene insegnato nelle sequenze con al centro i suoi esponenti. Lee spinge sul comico, sull’iperbole e sulla farsa, accettando un gioco pericoloso ma di cui è perfettamente consapevole: parlare di Storia, ma flirtando con le capacità popolari e populiste del cinema, in direzione ostinata e contraria a coloro che instillano odio facendo leva sulla pancia degli interlocutori. Per quanto riguarda la regia di Lee, l’afflato militante e le irridenti provocazioni che ne hanno contraddistinto le regie assumono in “BlaKkKlansman” le forme di un vero e proprio sit-in cinematografico in cui “la chiamata alle armi” della comunità afroamericana subisce un’accelerazione che la porta a inglobare dentro di sé quello che fin qui è stato l’intero corso estetico, formale e contenutistico dell’autore. La bravura di Lee (e del suo montatore) è quella di riuscire a far coesistere teorizzazione (si pensi alla presa di posizione nei confronti di “La nascita di una nazione”) e pratiche cinematografiche in un contenitore perfettamente coerente e per nulla appesantito dal volume di materiale che vi converge. Vi si aggiunga, poi, la capacità di sfruttare il doppio canale costituito dal dare parola ai personaggi razzisti e a quelli che fingono di esserlo per sottolineare con ancora più veemenza il ridicolo su cui si basano le motivazioni dell’odio razziale. Molto intelligente la sequenza finale che sfrutta le reali e drammatiche immagini degli incidenti avvenuti a Charlottesville (agosto 2017) che hanno come sottofondo la voce ed un discorso molto poco credibile ed accettabile di Donald Trump. Un film molto divertente (che sembra addirittura strizzare l’occhio al cinema di Tarantino e Coen), coraggioso e che rappresenta una sorta di rinascita del grande regista Spike Lee, dopo alcuni lavori e film non proprio ottimi. Consigliati sì!

TRAILER:


 
 
 

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