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Attacco a Mumbai – Una vera storia di coraggio (Hotel Mumbai; 2018) di Anthony Maras – F

TRAMA:

Nel novembre 2008 un’ondata di attacchi terroristici getta nel caos la città di Bombay. Un gruppo di jihadisti si infiltra all’hotel Taj Mahal, dove una marea di disperati ha cercato rifugio. Una volta all’interno, i terroristi mettono in atto un sanguinoso assalto senza precedenti.

COMMENTO:

Mumbai – 26 novembre 2008 11 marzo 2004, Madrid (Spagna) 7 gennaio 2015, Parigi (Francia) 13 novembre 2015, Parigi (Francia) 22 marzo 2016, Bruxelles (Belgio) 14 luglio 2016, Nizza (Francia) 3 giugno 2017, Londra (Gran Bretagna) 12 dicembre 2018, Strasburgo (Francia) 15 marzo 2019, Christchurch (Nuova Zelanda) 21 aprile 2019, Sri Lanka Questi sono soltanto dieci tra i più terribili attentati che ci hanno coinvolto a livello globale. Poco importa che si tratti di Isis, organizzazioni terroristiche jihādiste, cellule solitarie o Al Qaeda. Poiché pur trattandosi molto spesso di paesi l’uno distante dall’altro, ci si unisce e si soffre insieme proprio in occasione di tragedie ed eventi assurdi come questi, purtroppo sempre più frequenti, attentati terroristici e stragi. Lo si fa riunendosi in preghiera o affidandosi totalmente alla speranza (che assume sempre più importanza rispetto alla preghiera, in un mondo profondamente slegato dall’istituzione religiosa). All’interno dell’ottimo film di Anthony Maras, che giunge nelle sale cinematografiche in seguito ad una genesi piuttosto travagliata (il film infatti è del 2018) ed anche a due terribili attentati che hanno coinvolto la Nuova Zelanda e lo Sri Lanka, si parla molto di religione (seppur indirettamente) e ci si concentra sul ruolo fondamentale che assumono la speranza e la rassegnazione, in terribili momenti come quelli proposti dal film stesso. Legati appunto alla tragica vicenda degli attentati di Mumbai del 26 novembre 2008. Interessante come Maras renda chiaro il suo interessarsi principalmente ad alcune piccole storie (chiaramente fittizie), interne all’evento di enormi dimensioni, e dunque affidando a queste piccole storie una grande importanza, quasi superiore all’intero racconto della strage in generale. Nella prima parte infatti c’è l’uso di un montaggio alternato piuttosto funzionale a questa scelta, che vede contrapposte due situazioni molto distanti l’una dall’altra. Da un lato gli attentatori, nelle loro fasi iniziali (poiché i luoghi interessati furono molteplici), dunque la loro preparazione, la loro calma e la loro freddezza. Non provano emozioni, e gli attori che li interpretano li rendono quasi dei robot, delle macchine che non provano e non sentono niente (anche se poi in una sequenza piuttosto forte, ci renderemo conto che non sarà proprio così), nel raggiungimento delle rispettive mete. Si percepisce il fatto che tutto di quel piano sia stato calcolato alla perfezione. Un perfetto disegno del male si potrebbe dire. Dall’altro invece, la presentazione di alcuni piccoli personaggi che nel corso del film subiranno una giustificata trasformazione, divenendo dunque davvero “importanti”, rispetto agli sviluppi e alle dinamiche puramente action e drammatiche. Interessante come il film non stabilisca mai realmente un protagonista assoluto. Dev Patel (ottimo nel ruolo di un membro dello staff dell’hotel di lusso Taj Mahal Palace, sempre convincente e per la prima volta commovente per quanto realmente ma parzialmente coinvolto) infatti, pur entrando in scena per primo, verrà molto presto messo da parte, poiché un’altra storia di piccole persone (che poi assume grande importanza in seguito), porta all’interno del film alcune caratteristiche su cui è bene ragionare. Si tratta di una coppia mista, da una parte lei, indiana/musulmana (non si capirà mai realmente), dall’altra lui. Un americano (Armie Hammer a tratti sottotono, a tratti piuttosto buono) molto divertito e bambinesco nelle prime sequenze, che non esita a fare continui apprezzamenti rispetto ai luoghi ed alle persone in cui e con cui si trova. Divertenti alcune sequenze al ristorante che lo vedono protagonista. La prima ha a che fare con la scelta del vino, la seconda con la carne di bovino. In contrapposizione a queste due piccole storie, una di famiglia realmente modesta (Dev Patel), un’altra di famiglia dell’alta borghesia (Armie Hammer e Nazanin Boniadi), si pone una terza, che in qualche modo le unisce entrambe, nonostante sia colma di ironia, lascia infatti trasparire un velo di tristezza non indifferente. Si tratta di quella legata al russo interpretato da un potentissimo Jason Isaacs, qui sicuramente in una delle migliori prove attoriali degli ultimi anni. È un uomo solo, molto ricco e potente (ciò viene lasciato intendere da alcuni scambi di dialogo tra i membri dello staff dell’hotel), che si fa recapitare delle donne che lui sceglie quasi come se fossero oggetti in vendita. Mentre fa tutto questo, osserva le coppie sedute ai tavoli, forse vorrebbe trovarsi lui stesso in quella situazione. Ci sono infatti un paio di inquadrature molto interessanti legate a questo discorso. Dunque una prima parte di presentazione, grande ironia e temi appena suggeriti ma di grande importanza (le scarpe di una misura più piccola, l’importanza della propria etica e morale, la superiorità legata alla nazione d’appartenenza, l’abbandono della religione e dunque della preghiera, ma anche lo sguardo attento alla personalità e alla psicologia degli attentatori). Un film che risulta riuscito soltanto in parte, a causa del suo non essere né carne né pesce. Seppur Maras dimostri di saper sfruttare con grandi capacità il meglio del cinema americano (e più specificatamente quello di Peter Berg), dunque di racconto basato su eventi reali, sempre a cavallo tra l’action ed il dramma, a cui sommare personaggi e vicende fittizie di moderato interesse che vadano però ad aggiungere al film generi e sottogeneri, il dramma, il sentimentale, l’action più puro e via dicendo. Manca chiaramente il grande americanismo e patriottismo del cinema di Berg. Manca quel senso di amore e patriottismo, di fiducia verso il paese in cui la vicenda è avvenuta. Pare quasi che Maras non si voglia avvicinare più di tanto e restare a distanza. Molto forti alcune scelte come quella di porre il personaggio interpretato da Dev Patel, in una situazione di continuo pericolo all’interno di un pericolo più grosso. Ovvero, trattandosi di un indiano e più specificatamente Sikh (spiegazione dinanzi a signora anziana spaventata e forse un po’ razzista, sequenza memorabile), persone comuni, polizia e via dicendo rischiano spesso di ucciderlo, prendendolo come uno dei temuti attentatori. Questa dinamica assume un peso psicologico non indifferente. Maras fa dunque un discorso di razzismo e di distanza di fronte ad alcune etnie, non tanto a livello di simpatia/antipatia, quanto a livello morale ed etico, dunque molto profonda come distanza. Altrettanto potente si dimostra il discorso sulla religione. Trattandosi di un paese prettamente religioso e simbolista è chiaro che all’interno di vicende tragiche e terribili come quelle, ci sarà sempre quella figura che riunirà tutti in preghiera o quantomeno tenterà di farlo. Attraverso il personaggio rude, apparentemente senza paure ed indifferente rispetto a questo discorso del sottostare alla religione, alla divinità e dunque alla rassegnazione, Maras giunge a quello che io ritengo lo scambio di battute migliore dell’intero film, ma anche al momento più potente e preciso del minutaggio totale: “Vaffanculo le preghiere, è per questo che ora siamo nella merda” Applausi alla sceneggiatura colma di interessanti tematiche, continuo alternarsi di generi, battute toste e sorprendenti per il loro coraggio e la loro schiettezza ed alcune trovate che io ritengo di un nichilismo potentissimo. Maras e il suo sodale John Collee portano a casa il risultato, seppur non totalmente riuscito. Molto bella la sequenza finale di Dev Patel che è finalmente all’esterno, distante da tutta quella violenza e quella enorme situazione di pericolo, in costante aumento. Ci sono diverse inquadrature di alberi, del cielo, le strade e poi la famiglia. Quasi come se guardasse tutte queste cose realmente per la prima volta nella sua vita, poiché la morte, fino a pochi istanti prima sembrava essere lì lì per raggiungerlo. Si torna sempre alla famiglia ed alla sua incredibile e totale importanza all’interno di questo film. Che si tratti di chiamate telefoniche (una molto interessante fatta da un giovane terrorista) o di concrete dinamiche famigliari come quella della coppia mista Hammer/Boniadi. Una regia profondamente immersiva e senza filtri (il film è davvero crudo) ed un lavoro sugli attori di grande precisione. Attacco a Mumbai, ottimo film. Consigliato sì!

TRAILER:


 
 
 

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