A Star Is Born (Id; 2018) di Bradley Cooper – Saggio Breve
- Eugenio Grenna
- 27 apr 2019
- Tempo di lettura: 7 min

TRAMA:
L’esperto musicista Jackson Maine scopre – e se ne innamora – la combattuta artista Ally. Questa ha da poco dato chiuso in un cassetto il suo sogno di diventare una grande cantante ma Jack la convince a tornare sul palcoscenico. Ma mentre la carriera di Ally inizia a spiccare il volo, il lato personale della loro relazione perde lentamente colpi per colpa della battaglia che Jack conduce contro i suoi demoni.
COMMENTO:
La ballata dei fratelli Maine, uomini che piangono La prima parte dell’esordio registico di Bradley Cooper, attore, produttore cinematografico e ora anche regista, classe 1975, è in grado di portare il film e quindi i suoi spettatori verso una direzione certa, quella del grande film. Questo perché tutto è gestito nel modo migliore. Ci vengono presentati separatamente i nostri due protagonisti, con vite totalmente differenti, legami famigliari e d’amicizia pressoché opposti. Jackson Maine (Bradley Cooper) è un cantante piuttosto famoso che si muove goffamente e che sembra incespicare in più di un momento. Tutto ciò è dovuto ai suoi problemi legati all’alcolismo e alla dipendenza da droghe, resi immediatamente chiari nel momento in cui scendendo da un palco sale in auto e si attacca alla bottiglia. Quando quest’ultima giunge al termine, Jackson si trova costretto a dover cercare qualcos’altro da bere, puntando il primo posto lungo la strada. Quel bar però sta ospitando un evento speciale, una serata di musica e spettacolo animata da drag queen, gay, uomini in cerca di incontri occasionali e una vasta schiera di personaggi alternativi (inquadrati velocemente). Quelli che Billy Joel raccontava nella sua celebre “Piano Man” del 1973, tanto per fare un esempio. Lì Jackson incontra Ally (Lady Gaga) che sarà il suo amore ed in qualche modo anche la sua rovina. Molto interessante il modo in cui Cooper (ricordiamo al suo esordio registico) è riuscito ad inserire all’interno del film alcuni riferimenti (in secondo piano e quindi meno evidenti) legati al chiaro destino che attende Jackson Maine, senza renderli banali o addirittura insignificanti. Il primo dei quali è possibile notarlo nel momento in cui Jackson sta per raggiungere il bar ad inizio film, ed alle sue spalle vengono proiettati dei cappi su un grosso tabellone pubblicitario. Una sorta di avvertimento che, può apparire minaccioso e pacificatorio allo stesso tempo, come se ci fosse una qualche accettazione proveniente dal suo destinatario, o forse no. Si scoprirà nel corso della seconda parte del film. L’incontro tra Jackson e Ally è decisamente uno dei momenti migliori, lei è molto truccata e quindi appare come un’altra persona. Nonostante la “maschera” lui osservandola con grande interesse sembra quasi che riesca a riconoscere la ragazza per com’è realmente. Non a caso in un secondo momento le chiederà di poterle togliere delle sopracciglia finte per poterle guardare il viso. L’innamoramento però avviene anche sul piano professionale, Jackson è infatti interessato a quella voce che forse vorrebbe addirittura “sfruttare” a suo favore e questo svolge un ruolo principale rispetto all’interessamento per la persona in sé. Ciò complica le cose e rende il rapporto sentimentale tra i due protagonisti non così puro e potente come in molte rom-com che trattano lo stesso tipo di narrazione, ma lo contamina di interessi secondari, cinici e talvolta poco passionali. In questa prima parte del film però li si può scambiare addirittura per adolescenti, poiché sembra che i loro primi momenti insieme siano così pieni di quella sentimentalità a tratti buffa che è riscontrabile nel genere (ultimamente molto abusato) teen movie. Le sequenze del bar per “sbirri” e subito dopo quelle all’interno/esterno del supermercato, in cui viene curata una mano con un pacco di piselli surgelati, portano il film in quella direzione. Insomma, tutto fa pensare ad una storia d’amore tra ragazzini piuttosto che ad una coppia adulta, e questo sorprende e diverte grazie ad una buona sceneggiatura classica che gioca abilmente con gli stilemi del teen e della rom-com. Non a caso proprio in sceneggiatura oltre a Cooper e Roth, risulta anche Will Fetters, sceneggiatore di commedie sentimentali/drammatiche recenti tra cui “Remember Me” del 2010 e “Ho cercato il tuo nome” del 2012, quindi tutto torna. Quello che è chiaro fin da subito (perlomeno a mio parere) è che sulla narrazione del film, non tanto a livello registico trattandosi di un esordio, quanto sulla sceneggiatura sia stato fatto un lavoro piuttosto preciso ed interessante. Cooper fa una scelta che in qualche modo solleva le sorti del film, ovvero fa incontrare e conoscere i due protagonisti nello stesso momento in cui anche noi li conosciamo. Loro si raccontano a vicenda e si raccontano anche a noi. Quindi di tutte le problematiche, che siano di Ally o di Jackson, ne veniamo a conoscenza nel momento in cui anche loro cominciano a scontrarsi con esse. Questa caratteristica è ancor più interessante all’interno di un film che analizza la gestione dell’immagine in primo luogo. Tuttavia dopo la ricostruzione dell’incontro fortuito e dell’immediato innamoramento comincia a perdere d’importanza la loro storia d’amore. Poiché la vita di Jackson non è stata facile e quindi viene fuori ad impatto decisivo il legame tra lui e suo fratello Bobby (un grande Sam Elliott). Giunti a questo livello del film si percepisce l’anima western che è celata alle spalle della ormai quarta versione di “A Star Is Born”. Il film di Cooper sembra attingere a piene mani da due grandi film del genere, Crazy Heart (il cowboy Jeff Bridges con problemi di alcolismo che si innamorava di una donna e scriveva una canzone per lei ma anche per se stesso) e Walk The Line (Johnny Cash che tra droghe, alcol e musica si disperava e autodistruggeva pur di essere amato dalla giovane collega June Carter). Due film non casuali, entrambi dall’anima western, riguardanti drammi sulla famiglia, i figli nel primo ed il padre nel secondo. Altro elemento interessante riguarda tutta la questione della diva/cantante che prende parte ad un film commerciale aumentandone l’interesse. Fra l’altro operazione cinematografica piuttosto antica che vede nel 1959 uno dei primi casi celebri, quello di Dean Martin in Rio Bravo di Hawks, o più recentemente nel 1992, quello di Whitney Houston in “The Bodyguard” di Mick Jackson. Tornando all’anima western e virile di A Star Is Born, è pressoché evidente l’importanza affidata alle figure maschili e decisamente meno alle figure femminili del film. Il rapporto tra i due fratelli Maine è così approfondito da risultare struggente in più di un momento, per esempio quello in cui Jackson rivela finalmente al fratello Bobby di averlo sempre idolatrato. Lì giocano sentimenti drammatici che in qualche modo possono anche sembrare buffi, i due cowboy e “duri” texani che non possono scambiarsi complimenti o sentimentalismi e quindi incespicano, balbettano, ma soprattutto piangono l’uno distante dall’altro. La macchina da presa segue infatti Bobby (Sam Elliott) che velocemente inserisce la retromarcia dopo aver ascoltato quelle parole, trattenendo le lacrime visibilmente commosso, mentre Jackson sta già rientrando a casa. Molti sono i trascorsi tra loro due, Jackson ha rubato la voce a Bobby, ma quest’ultimo forse è stato addirittura una figura paterna per Jackson, tanto da seguirlo per tutta la vita, facendone da “ galoppino” e cercando di aiutarlo tra la droga e l’alcol, fino ad averne abbastanza. Anche gli abiti maschili sono decisivi all’interno del contesto cinema western, il cappello da cowboy (ruolo fondamentale in una delle inquadrature delle scene finali) ma soprattutto quel giaccone beige visto molto spesso in film western quali Tom Horn (1980) ed il bellissimo True Grit (1969). La mascolinità del film è persino evidente nei momenti in cui Jackson crolla in lacrime davanti ad Ally, poiché non ricorda delle cattiverie dette a causa dell’alcol in alcuni casi, o vittima della sua stessa depressione in altri. Una scelta che si rivela decisiva e spiazzante. Mostrare questi uomini texani che per scelte di regia ci vengono mostrati poco emotivi inizialmente, poiché presi dal loro ego, cambiare radicalmente nella seconda parte del film, in cui sono spesso inquadrati in magnifici primi piani, con i loro volti piangenti e addolorati. Questa narrazione di uomini duri ma segnati da un dolore che può essere famigliare o causato da patologie, fa tornare alla mente alcuni testi celebri di Tom Waits, Bruce Springsteen e lo stesso Johnny Cash citato precedentemente. A star is born si trasforma dunque in una ballata country-rock, quella dei fratelli Maine. Ma ciò avviene senza perdere mai la sua vena pop molto spinta, quella realtà musicale e mediatica (Premi Emmy e Saturday Late Night Show) opposta a quella di Jackson, incarnata dalla nuova Ally, da lì Cooper lavora su tutto un confronto tra il personaggio fittizzio Ally e la reale Lady Gaga, sempre accompagnata dal suo cinico ed insensibile giovane manager che segue soltanto i soldi, volti a soddisfare il suo tornaconto personale. Per concludere: L’esordio registico di Bradley Cooper risulta più che riuscito. Un film che dimostra di essere grande nel momento in cui in scrittura e in regia vengono proposti il cammino/ascesa per l’una ed il calvario/declino per l’altro, senza commettere mai grandi errori e risultando quasi sempre credibile. Fatta eccezione per alcune scelte registiche ed alcune scene in particolare, tra cui l’inquadratura finale. Certo, in alcuni momenti la poca esperienza del Cooper regista si dimostra abbastanza evidente, per esempio nella direzione di attori/attrici. Ally (Lady Gaga) ne è l’esempio perfetto. Se Jackson (Bradley Cooper) nella sua interpretazione e caratterizzazione del personaggio è sempre lineare, Ally finisce per essere una via di mezzo tra interpretazione sottotono e sopra le righe. Perché è giusto che il suo personaggio subisca variazioni notevoli, ma talvolta si percepisce l’errore. Ciò non toglie che la sua presenza scenica sia riuscita a rendere il film probabilmente ancora più riuscito. Ci sono almeno due, o tre sequenze in concerto realmente da brividi, in cui noi spettatori ci rendiamo conto dell’incredibile sinergia che esiste a livello filmico e non solo tra Bradley Cooper e Lady Gaga. Molto interessanti anche le due rispettive fonti di ispirazione per la caratterizzazione dei personaggi. Cooper che ha chiesto aiuto ad Eddie Vedder, noto principalmente per essere il cantante del gruppo musicale grunge/alternative rock Pearl Jam e (a parere mio) chiarissima l’intenzione di Lady Gaga nel citare Rachel Marron (Whitney Houston) di The Bodyguard, specialmente per quel momento finale in cui Ally canta la canzone di Jackson, a cui la dedica anche, davanti ad un grande pubblico. La ricorda molto a livello musicale ma non solo, il modo in cui la canta, la sua interpretazione in quella specifica scena e la somiglianza tra i titoli.
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