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Tomb Raider (Id; 2018) di Roar Uthaug


“Lara, tuo padre non c’è più. Puoi ripartire da dove si è fermato. Siete molto simili te e lui.”

Una frase di Ana Miller (Kristin Scott Thomas)



LA SINOSSI:

Origin story della “profanatrice di tombe”, Tomb Raider riporta sullo schermo l’eroina più amata del mondo arcade, in una veste inedita e ammorbidita.

La 21enne Lara Croft (Alicia Vikander), fiera ed indipendente figlia di un eccentrico avventuriero, non ha grilli archeologici per la testa, non filtra gli eventi con intuito e sarcasmo, e tra una lezione e l’altra all’università, non sa ancora cosa fare del proprio futuro. Con le consegne in bicicletta, in giro per le caotiche strade di Londra, a malapena riesce a pagare l’affitto dell’appartamento che condivide con l’amica Sophie (Hannah John-Kamen).

I modi incerti ed empatici della giovane Lara, estranei al personaggio più maturo, rimandano a una base di inesperienza e problemi irrisolti. Uno fra tutti: la scomparsa di suo padre, eccentrico archeologo partito in missione alcuni anni prima e mai più ritornato. Nonostante il consiglio di affrontare gli avvenimenti andare avanti dopo sette anni senza di lui, Lara, spinta dalla convinzione che il genitore sia ancora vivo, si imbarcherà in un lungo viaggio per mare, che la porterà sulle coste di un’isola misteriosa al largo del Giappone alla ricerca di una tomba leggendaria, ultima destinazione nota di suo padre prima dela sua misteriosa scomparsa. Scortata dal capitano della nave Lu Ren (Daniel Wu), Lara si addentrerà tra i miti e le leggende che popolano il sinistro villaggio, con outfit già mimetico e capelli legati non ancora intrecciati. Se sopravvivesse a questa pericolosa avventura, potrebbe realmente capire chi sia e conquistare il nome di Tomb Raider.

Il COMMENTO:

Rivista, corretta e completamente “ridisegnata” con un casting più accorto e vicino alla sensibilità contemporanea riguardo la rappresentazione della donna, la Lara Croft che aveva esordito nel 2013 nei videogiochi ora arriva anche al cinema. E rispetto all’omonimo videogame il medesimo spunto di trama (la regina giapponese Himiko sepolta presso un’isola piena di insidie su cui naufragare e in cui dover sopravvivere per diventare un’avventuriera) diventa una ricerca di un padre che aveva intrapreso quell’avventura anni prima senza tornare e la genesi di un mondo, che al cinema significa un possibile franchise. Alla fine infatti a nascere non sarà solo Lara (come in ogni origin story guadagnerà il suo “costume” classico anche se tali sono i cambiamenti che treccia e doppia pistola appaiono un po’ fuori tono) ma anche una sua possibile nemesi su cui il film insiste moltissimo: la grande corporation del male in stile Spectre. Tomb Raider (il film) prevede alcuni oggetti tipici della saga, un buon numero di enigmi con ingranaggi e diverse scalate, ma al di là di quello il suo modello è tutt’altro, è Indiana Jones e l’Ultima Crociata da cui mutua quasi tutti i suoi elementi migliori (dal taccuino con gli schizzi al rivale nella ricerca che mira proprio a quel taccuino, fino alla difficile figura paterna e alla grotta piena di prove mortali da superare). La cosa sarebbe anche accettabile, se non proprio auspicabile, se Roar Uthaug mutuasse da Spielberg anche la passione per il genere e la voglia di divertirsi con l’avventura. Invece Tomb Raider è condotto con correttezza ma senza particolare trasporto, si limita ad intrattenere invece di puntare ad appassionare e così finisce per assomigliare ad un action movie come tanti altri. C’è un abuso nell’uso dei clichè sia nei personaggi che nelle situazioni, nelle battute e nelle soluzioni che non viene da una forte fiducia in quei luoghi comuni (che ad esempio ha Tarantino, che i clichè li esalta) ma più da una sufficienza, quella per la quale anche se una scelta è banale (e tante qui lo sono) alla fine andrà bene lo stesso per un film d’azione. Ogni svolta della trama, ogni cambiamento di un personaggio e ogni decisione viene sbrigata frettolosamente senza che venga caricata o ci venga annunciata per tempo, senza dare al pubblico il tempo di maturarla e stupirsene o averla davvero compresa. Tutto accade in un attimo per poi passare allo snodo successivo. Così Tomb Raider dilapida un vero patrimonio di scene e idee che invece sembrano molto ben concepite anche quando hanno il freno a mano tirato. E così la dedizione di Alicia Vikander risulta la parte migliore. Al contrario di Angelina Jolie, che pare sempre attraversare i film come non le interessasse minimamente quel che accade, stando con la testa in un altro luogo di un altro pianeta, Alicia Vikander si impegna, crede al personaggio e riesce in certi punti a dargli un taglio originale, oscillando bene tra l’ordinarietà di una ragazza che non ha mai preso parte a un’avventura e l’istinto dell’action heroin che sta nascendo. Sta in campo in ogni scena e grazie a lei il film ha una scorrevolezza piacevole. Dura quando serve, fragile senza sfociare nello smielato, da attrice vera ha creato una sua Lara che unisce i contrasti in maniera credibile e ci appare più complessa di prima. Di fatto fa più lei per la comprensione e la compassione con la trama di quanto non faccia il film.

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