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Fortunata (2017) di Sergio Castellitto – Film Recuperati Home Video


“I conti non tornano: quando si resta orfani ci sono troppe verità!” Patrizio (Stefano Accorsi)

La sinossi: Fortunata è una donna sulla trentina che sta crescendo da sola la figlia Barbara di otto anni in un quartiere degradato di Roma. È agosto, la città è semivuota, e Fortunata va di casa in casa a fare (in nero) messe in piega e shatush ad amiche e vicine, coltivando il sogno di aprire un suo negozio di parrucchiera e conquistare così un minimo di indipendenza economica. Franco, il marito allontanato da casa, da cui Fortunata non è ancora separata legalmente, la tormenta con visite inaspettate, insulti gratuiti e aggressioni sessuali. Chicano, il suo migliore amico, è un tossico con una madre straniera, Lotte, che sta scivolando nel buco nero dell’Alzheimer. L’incontro con uno psicoterapeuta infantile, Patrizio, cui è stato affidato dai servizi sociali il sostegno psicologico a Barbara, si presenterà a Fortunata come l’opportunità di cambiare la propria vita. Ma non tutti sanno sfruttare le buone occasioni, soprattutto se a guidare le loro azioni è una cronica mancanza di autostima e una sfiducia nella capacità (o il diritto) di essere, nella vita, fortunati.

Il mio commento: Umanità di estrema periferia, popolarissima e sguaiata, violenta ma passionale nell’afosa e appiccicosa estate romana, che vive accanto all’acquedotto e cammina nella notte con carrelli all’indietro come in Mamma Roma. Rumorose e piene di problemi Fortunata e sua figlia finiscono da uno psichiatra infantile (Accorsi) che finirà ad analizzare oltre la bambina anche la madre con inevitabile ricaduta sentimentale che finirà di incasinare tutto, trascinando i personaggi verso il gran finalone melodrammatico e a tinte fortissime, tra pistole, pianti e avvocati. Fortunata vuole avere lo sguardo sui personaggi di Pasolini. in più non teme mai il ridicolo nel proporre una storia e degli svolgimenti oggi molto fuori tempo. La grande poesia negli occhi e nelle bocche di personaggi di borgata, le fughe d’amore idilliache al porto di Genova, i sorrisi lieti ed innamorati che preludono alla tragedia e un miserabilismo esasperato sono ciò che una volta reggeva i modelli di questo film ma oggi, almeno per come li porta Castellitto, sembrano inaccettabili. Non è che sia scritto male Fortunata e del resto nemmeno è interpretato male (anzi!), è che sembra non rendersi conto che nel suo osare di fare qualcosa che nessuno oggi fa più, mostra perché non venga fatto. Perché una storia messa in scena con questa voglia di realismo ma così idealizzata in dialoghi, aspirazioni e volontà poetica è impossibile, non regge il patto finzionale, non suona autentica, non riesce a dire nulla se non le proprie voglie. Ci sono alcune scelte registiche anche abbastanza interessanti, è chiaro però che una passa, due anche, ma con la terza il tutto comincia a diventare un tantino pesante. Si prenda per esempio la sequenza in cui Chicano (Alessandro Borghi) decide di ammazzare sua madre. Bene, la scena in questione è interessante dal punto di vista registico perchè si suggerisce il terribile e tragico gesto con l’inquadratura di un ombrello rosso che sta scivolando lentamente sulle acque del Tevere. Per poi seguire Chicano tra le sterpaglie, tra i boschi, con un’espressione tra lo stupefatto e lo scosso, il tutto con un rallenty piuttosto forzato e tutto il momento è condito dalla presenza forse troppo forte e presente di “You are my sister” di Antony and the Johnsons. Fortunata si rifà ad un modello di cinema che può avvicinarsi più ad una sorta di neorealismo moderno, ma forzando ogni elemento fino all’eccesso risultando quindi un prodotto cinematografico assolutamente indeciso. Non è una storia d’amore, è un racconto tragico, un dramma che non trova mai la sua fine. Tutto è estremamente tragico e non si raggiunge mai un una sorta di risoluzione, se non nel momento di idillio a Genova, forse il più bello di tutto il film.

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