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A Beautiful Day (You Were Never Really Here; 2017/2018) di Lynne Ramsay


Nina: Joe, wake up. It’s a beautiful day LA SINOSSI: Joe è un veterano di guerra, sopravvissuto anche a molte altre battaglie. A casa lo aspetta solo la madre anziana a malata, con cui ha un rapporto di grande affetto e pazienza. In una New York desolata e piena di segreti, il cui profilo nobile resta sempre in lontananza, Joe fa il mercenario per chi vuole liberarsi di nemici pericolosi ma non ne ha l’abilità o il coraggio. Il suo ultimo incarico è quello di sottrarre Nina, la figlia preadolescente di un politico locale, ad un giro di prostituzione minorile: una creatura abusata e offesa che fa da specchio al passato dell’uomo. Joe appare e scompare, spesso armato di un martello, come se non fosse mai stato lì (questa la traduzione del titolo originale), menando fendenti e scacciando con la stessa allucinata intensità i ricordi devastanti, tanto della propria infanzia in balia di un padre sadico, quanto dei crimini di guerra compiuti (anche da lui) dietro la giustificazione di una divisa. Quello di Joe è un universo di bambini perduti cresciuti alla mercè degli orchi e spesso diventati come loro, un mondo in cui l’uomo si muove come un giustiziere, cercando di rattoppare la sua vita ridotta ad un puzzle di sensazioni e (brutti) ricordi.

IL COMMENTO: Lynne Ramsay. La regista è una donna, veramente acclamatissima per questa sua ultima fatica alla scorsa edizione del Festival di Cannes, dove ha vinto miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista, premio assolutamente meritato da Joaquin Phoenix. Si tratta di un film che gli amanti del cinema facilmente ameranno, e quindi i non amanti del cinema potrebbero odiarlo altrettanto facilmente. Citazionismo a non finire di alcuni film celebri tra cui: Taxy Driver (1976; Martin Scorsese), Senza un attimo di tregua (1967; John Boorman), Drive (2011; Nicolas Winding Refn), The Equalizer (2014; Antoine Fuqua), Il giustiziere della notte (1974; Michael Winner) (Chiaramente parliamo del cult con Bronson e non dell’attuale con Willis di Roth), Pulp Fiction (1994; Quentin Tarantino) e molti altri. Tecnicamente e stilisticamente sorprendente, ai limiti della perfezione cinematografica, anche e soprattutto per quanto riguarda la sua fenomenale fotografia e la sua regia atipica e pazzesca per quanto mi riguarda. Infatti è molto strano questo fatto del premio alla sceneggiatura e non alla regia, nel momento in cui durante e a seguito della visione si rimane davvero sorpresi (del tutto in positivo) da alcune scelte stilistiche e registiche della Ramsay. Ad ogni modo è un piccolo gioiellino, cinema indipendente in piena regola che prende un eccezionale Joaquin Phoenix, che non è mai stato così bravo e lo pone nei panni di un uomo silenzioso, distaccato, con un senso morale davvero spaventoso ma anche commovente tutto suo, un violento ed un sadico veterano di guerra che è diventato nel corso del tempo una sorta di vendicatore o comunque giustiziere della notte. Phoenix recita in sottrazione, un po’ come il leggendario Casey Affleck di Manchester By The Sea. Quindi un prodotto cinematografico estremamente particolare poichè si ha un film su un giustiziere/vendicatore scritto e messo in scena come un film d’autore in piena regola, e non un action, quindi grande attenzione ai dettagli, ai momenti vuoti, una certa lentezza ed una grande dilatazione temporale e via dicendo. Molto violento, sicuramente più di quanto visto recentemente nel cinema di Refn e Tarantino. Non è assolutamente un film per tutti, questo è assolutamente da specificare. I pochi però che riusciranno a guardarlo fino in fondo senza rimanerne annoiati o infastiditi si godranno una fiaba moderna, noir e drammatica colma di gusto citazionista, splatter ed una violenza mostrati davvero bene, il tutto al servizio di una storia ed una narrazione che affondano le loro radici in un trauma infantile e quindi questo protagonista non è soltanto reduce/vittima della guerra, ma probabilmente anche di qualcos’altro di più tragico e decisivo. L’elemento del trauma infantile bisogna dirlo è utilizzato dalla Ramsay davvero bene e gestito con una certa dose di genialità all’interno di questa perla per quanto mi riguarda imperdibile. You Were Never Really Here è in conclusione un ottimo film, decisamente molto forte, ma che vale la pena vedere, anche soltanto per il divertimento del cogliere le diverse citazioni cinematografiche, ma anche e soprattutto per ammirare una splendida regia, fotografia e sceneggiatura. Per non parlare della mastodontica e memorabile interpretazione offerta da Phoenix. Assolutamente imperdibile!

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