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Suburbicon (Id; 2017) di George Clooney


Voice Over: Welcome to Suburbicon, a town of great wonder and excitement. Built with the promise of prosperity for all. Isn’t it time for your new start? LA SINOSSI: Gardner Lodge vive nella ridente Suburbicon con la moglie Rose, rimasta paralizzata in seguito ad un incidente, e il figlio Nicky. La sorella gemella di Rose, Margaret, è sempre con loro, per aiutare in casa. L’apparente tranquillità della cittadina entra in crisi quando una coppia di colore, i Meyers, con un bambino dell’età di Nicky, si trasferisce nella villetta accanto ai Gardner. L’intera comunità di Suburbicon s’infiamma e si adopra per ricacciare indietro “i negri” con ogni mezzo. Intanto, due delinquenti, irrompono nottetempo nell’abitazione dei Lodge e li stordiscono con il cloroformio, uccidendo Rose.

IL COMMENTO: C’è un dolce inizio nello stile della commedia di Howard Hawks in Suburbicon, la quiete di una cittadina con villette a schiera, il postino che saluta tutti, mogli ben vestite, bambini in bici e una specie di carrello che funziona anche da establishing shot. La forza sta nella maniera in cui quest’inizio da commedia anni ‘30 (stile resto vivo soprattutto dalla musica di Alexandre Desplat) sfoci in qualcosa impossibile per l’epoca: un bug nel sistema. La nuova famiglia arrivata a Suburbicon non è bianca! In realtà proprio questa quiete, proprio quest’ordine e questo mondo ideale sono l’obiettivo nel mirino del film. Il mito dell’America di una volta svelato per la truffa che è. Non il momento migliore del paese ma uno in cui sotto il tappeto bruciava la peggior intolleranza possibile. Infatti in questo paesino che ha la mostruosa adesione alla perfezione, alla pulizia e al conformismo della cittadina di Edward Mani Di Forbice e lo stile architettonico del sobborgo di A Serious Man, nessuno vuole tenere questa famiglia di colore che, secondo i residenti, porterà scompiglio e crimine. Il sesto film di George Clooney si apre quindi con un lento svelamento, cioè che la trama della famiglia di colore nel sobborgo urbano americano degli anni ‘50 è solo una metà del film. C’è in realtà un altro interno che interessa di più a questa sceneggiatura dei fratelli Coen, quello della famiglia Lodge, famiglia perfetta che svelerà lentamente la mostruosità che si cela dietro il benessere e il desiderio di conformismo. I crismi del racconto coeniano ci sono tutti, dal crimine, all’intreccio pieno di casualità, dal grottesco alla stupidità dei protagonisti, fino alle svolte comiche che vengono dalla peculiare sequenza con cui vediamo gli eventi. Lo script originale risale agli anni ‘80, ripescato ora da Clooney per farne un film attuale, ma non sembra passato un giorno. Tuttavia George Clooney non ha né vuole avere il nichilismo dei Coen, la loro crudezza e il loro sguardo sadico e scettico. Clooney crede così tanto negli uomini da essere abbattuto quando ne ritrae esempi così pessimi. Così i medesimi intrecci e le medesime situazioni che in un film dei due fratelli avrebbero avuto toni di sbeffeggio e sarebbero stati una grande irrisione della pretesa degli esseri umani di dominare la propria vita, qui invece sono una triste parabola di mostruosità domestica, mentre intanto il resto del paese invece che guardare cosa fanno i propri simili insegue odi settari e se la prende con una pacifica famiglia nera. Si ha l’impressione di assistere ad una versione semplificata di un film dei Coen in cui ogni contrasto è esposto a chiare lettere, ogni svolta comica serve uno scopo diretto, ogni senso è esposto e gridato invece di essere contrabbandato come sono soliti fare.

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