Mektoub My Love: Canto Uno (2018; Id) di Abdellatif Kechiche
- Eugenio Grenna
- 31 mag 2018
- Tempo di lettura: 9 min

“Una foto sa fare tanto, cattura istanti” Amin (Shaïn Boumedine) LA SINOSSI: Amin ha lasciato gli studi di medicina per scrivere il suo film. Ma è estate, ci penserà domani. Lasciata Parigi per le spiagge del Mediterraneo, torna a casa e agli amici di sempre. Torna da Ophélie, compagna di giochi che non smette di guardare e fotografare. Ophélie che vuole sposare Clément ma fa l’amore con Toni, tombeur de femme incallito. A due passi dal mare, Amin flirta con Charlotte e Céline, inaugurando un’estate di giochi d’acqua e di promesse appese in cui le azioni restano senza conseguenze.
ALCUNI FATTI: Tratto da un romanzo autobiografico di François Bégaudeau, La Blessure, la vrai, e pensato come la prima parte di un trittico, è una sorta di educazione sentimentale e artistica, ambientata nel 1994 a Séte, nel Sud della Francia. Il protagonista è il giovane Amin, interpretato da Shaïn Boumedine, che si muove tra un’aspirazione alla purezza e l’attrazione per la bella Ophélie, la nuova nudissima star lanciata da Kechiche. Dopo aver incantato pubblico e critica con la dolce storia di amore saffico del precedente La Vita di Adele, il regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche torna dietro la macchina da presa per riflettere sul significato della parola “destino” (in arabo “mektoub”). La giuria del Festival di Cannes 2013, presieduta da Steven Spielberg, decise di consegnare a Abdellatif Kechiche la Palma d’Oro per La vita d’Adele. A distanza di cinque anni esatti arriva finalmente nelle sale il nuovo film del regista, dopo alcuni anni di complessi problemi produttivi e girato poi dall’estate del 2016 a Sète, località balneare del sud della Francia molto popolare per le vacanze estive. Proprio lì aveva diretto dieci anni prima Cous cous, vincitore del Gran premio della giuria a Venezia, che lanciò la carriera della giovane e allora esordiente marsigliese Hafsia Herzi. Mektoub My Love è l’adattamento, molto libero, del romanzo di François Bégaudeau, La ferita, quella vera, appena pubblicato in Italia da Einaudi. Mentre erano in corso le riprese del film, si stava girando un altro adattamento da un libro di Bégaudeau, diretto da un regista vincitore della Palma d’Oro con La classe, ancora nato come romanzo dello scrittore francese. Stiamo parlando de L’atelier di Laurent Cantet, in sala a giugno. In fase di montaggio, Kechiche ha deciso di dividere Mektoub My Love in Canto Uno, presentato in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, con un’accoglienza critica positiva ma nessun premio, e in Canto Due, le cui riprese si sono svolte alcuni mesi dopo. Ancora non è chiaro quando il secondo capitolo verrà ultimato e se ci sarà anche un Canto Tre. Sono note, del resto, le variazioni d’umore e decisionali del regista nato a Tunisi e cresciuto a Nizza dall’età di 6 anni.
IL MIO COMMENTO: In un caldo mercoledì pomeriggio di fine maggio, tra temporali passeggeri ma molto violenti e corsi universitari sempre più noiosi ho deciso di rompere la monotonia, dedicando quindi tre ore del mio tempo pomeridiano a quello che sembrava essere il nuovo capolavoro di Abdellatif Kechiche, regista del bellissimo “La vita di Adele” del 2013. Fuori il cielo è scuro, impazzano i tuoni e i fulmini, la pioggia comincia a battere incessante sulle strade, sulle auto e sulle persone che cercano di tornare a casa di corsa, io entro nel bellissimo Cinema Massimo di Torino e pago il mio biglietto. All’interno della sala poche persone, ma questo non per forza lo si può collegare in un secondo più al grado di qualità del film. Dunque cerco il posto migliore, lo trovo e mi siedo al buio in quello che per me è un vero e proprio luogo sacro. Mi preparo psicologicamente ai 180 minuti e mi rilasso. Kechiche ci pensa subito però a svegliarmi perchè apre il film con una potentissima scena di sesso. Ma andando con ordine: Il film comincia con due citazioni, una dal Corano e una dalla Bibbia che riguardano l’uomo, la luce e Dio. Tre elementi che sembrano essere stati davvero importanti per questo primo capitolo, di quello che sicuramente diventerà un dittico ed infine un trittico. 1) L’uomo – La prima potentissima scena del film rappresenta Amin (il nostro protagonista) che soiaz di nascosto e silenziosamente una ragazza ed un ragazzo che all’interno di una casa stanno facendo sesso molto rumorosamente, una scena molto sporca, Kechiche ci mette gusto anche nel mostrare la cellulite e le forme fisiche non così slanciate e perfette. Un sesso molto spinto che va al di là della sola forma fisica, indaga la passione e la carica erotica che quei corpi imperfetti emanano. Amin in questa scena guarda, ma non solo in questa, guarderà per tutto il resto del film, un vero e proprio voyeur. Ma quello che è davvero interessante è il fatto che Amin e quindi la m.d.p. e quindi noi, osservi sempre il modo in cui i corpi dei suoi amici e quindi gli uomini in senso più generale in cui sono comprese le figure femminili, si attirino tra di loro, si desiderino, si chiamino e via dicendo. Una festa degli istinti (a volte anche animali) che viene soltanto osservata, non viene mai vissuta in prima persona. Interessantissimo quindi il discorso legato al fatto che Amin sia uno sceneggiatore e come noto lo sceneggiatore scrive storie e quindi osserva gli altri e racconta gli altri, ma distaccandosi sempre dalla vicenda, la sceneggiatura ha a che fare con una storia e non con me, inteso lo sceneggiatore stesso. Quindi c’è questa bellissima contrapposizione tra uomini e donne vitali e con un grande desiderio di divertimento, passione e sesso e Amin che è invece il nostro protagonista silenzioso,innamorato e attento nella sua registrazione quotidiana degli eventi e di tutto ciò che accade, talvolta ciò può risultare perfino fastidioso e ridicolo perchè Kechiche lo porta veramente all’estremo. Potentissimo il modo in cui Kechiche racconta la potenza della carne e del desiderio, i corpi attraenti ed attratti, gli sguardi innamorati o quelli soltanto di pura seduzione, la sua macchina a mano riesce a svelare e rendere credibile tutto ciò. Una grande affermazione del dominio del corpo nella vita umana, fonte di debolezza e forza allo stesso tempo, perchè gli istinti ci comandano, talvolta facendoci perdere, talvolta facendoci vincere. Ci sono molto spesso i dettagli della loro attrazione seguiti da Amin e Kechiche, i primi piani degli ombelichi, delle natiche, le trasparenze dei costumi e la potenza attrattiva del loro essere giovani e belli. 2) La luce – Ciò che mi ha lasciato del tutto a bocca aperta tra i molti elementi positivi di questo film è stata proprio la fotografia. Forse una delle più sofisticate e ricercate all’interno di tutto il cinema di Kechiche che qui diventa il mezzo per il raggiungimento del fine fondamentale e necessario che questo Mektoub doveva possedere, la poesia. Ci sono momenti in cui ci si rende conto del fatto che alcune inquadrature grazie a questo tipo di fotografia si riempiono di poesia e di magia, nonostante l’inquadratura ci stia raccontando e mostrando un volto, un semplice oggetto o una qualunque azione non così importante o di grande rilevanza scenica. Invece con questa grandissima fotografia si riesce nell’impresa di elevare e rendere molto poetico tutto ciò. Quasi sempre tutto avviene alla luce del tramonto che esalta i corpi e li rende ancor più seducenti e carichi di erotismo, nonostante le loro imperfezioni. Girato dunque in gran parte al tramonto e determinato a mettere in scena proprio le luci, il film sembra adorare il sole in ogni sua gradazione e prospettiva. Anche quando si tratta di mettere in scena luci fasulle e potenti e artificiali come quelle da discoteca, Kechiche sembra metterci un impegno fuori da ogni schema, elevando momenti che senza queste luci e questa scelta di fotografia non sarebbero stati così incisivi e toccanti. 3) Dio – Kechiche non nasconde le sue intenzioni più prettamente religiose, infatti nei vari momenti di grande dilatazione temporale ed estiva cerca di aggiungere un tocco spirituale, usando molto spesso della musica sacra, anche nei momenti in cui risulta meno opportuna, Quindi si ha la percezione di una spiritualità e di una lettura in chiave di emanazione divina davvero molto potenti ma soprattutto inattesi
GIUDIZIO SINTETICO E DUE ELEMENTI INSOLITI SUL FILM: Le prime due ore del film scorrono senza intoppi, non si percepiscono quasi e quindi risulta tutto abbastanza funzionale e messo in scena davvero bene. La scrittura del film e la sua regia hanno una tecnica ed uno stile tutti loro che alla lunga possono stancare perchè comprendono (in tre ore) un numero di scene pari a qualsiasi altro film ma le dilata a dismisura, c’è un’infinità di dialoghi, un fiume di parole scambiate nei più vacui discorsi talvolta fastidiosi e piuttosto inutili, ma anche questo ha tutto un suo senso perchè ci vuole far capire che il solo dialogo che conta e quindi quello veramente centrale appartiene al corpo. L’importanza del linguaggio non verbale qui davvero molto forte. Prepotenza delle pretese ed esigenze dei corpi nei ragazzi e negli adulti, questi ultimi in molte occasioni oltre il fastidioso sinceramente poichè non vogliono mai rinunciare alla libertà giovanile, a livello fisico e non. Il regista riesce ad imprimere nello sguardo di una ragazza un desiderio così potente da essere credibile al cento per cento. Le pulsione primarie ed istintive sono messe in scena come nessuno mai era riuscito a fare prima di questo momento. Decisamente importante anche il superamento dell’esigenza dell’intreccio e di uno svolgimento narrativo preciso, Kechiche si avvicina quindi al cinema di Richard Linklater, più specificatamente al suo Boyhood che è davvero un capolavoro a differenza di questo Mektoub my love: canto uno che alla fine risulta soltanto un film molto bello ma niente di più. C’è uno scarto dell’eccezionale e di ciò che è quindi più prettamente cinematografico e narrativo e si abbraccia il quotidiano. Un elemento piuttosto esplicito ed estraneo ai canoni del cinema moderno per come lo conosciamo è rappresentato dalla smania di Kechiche verso l’inquadrare le natiche delle figure femminili. Si può infatti dire che c’è un buon 20% di viso ed un buon 80% di sole natiche, molto spesso anche piuttosto grosse. Il regista sembra infatti al passo coi tempi, tanto da abbracciare con grande passione e divertimento queste ragazze che sembrano quasi tutte modelle curvy, ed esaltandone gambe molto spesso piuttosto grosse e così anche le natiche, che ci verranno proposte di continuo nel corso delle tre ore. Quindi grande gusto di Abdellatif Kechiche nei confronti della cellulite, sembra quasi che ci sia un non so che di divertente nel mostrare queste figure femminili con abiti non sempre adatti alle loro forme fisiche, proprio per questo m.d.p. alle spalle di queste figure nel corso di camminate o corse e grande importanza alla cellulite, fisici sformati che fuoriescono dai vestiti e via dicendo. Tutto questo è all’interno di un film che alla fine della storia è anche molto bello anche per la sua condizione di film inusuale all’interno dell’attuale panorama cinematografico. I problemi stanno tutti nell’ultima ora (la terza) davvero sfiancante ed ammorbante, in cui due momenti vengono dilatati a dismisure occupandola quasi totalmente. Questi due momenti hanno due elementi piuttosto insoliti, tanto da risultare ridicoli. Il primo appartiene ad una lunghissima scena all’interno di un recinto in cui Amin osserva attraverso la sua macchina fotografica delle pecore, i loro momenti pre-parto ed infine il parto vero e proprio in notturna, per quanto mi riguarda di eccessiva durata, e assolutamente non così fondamentale ai fini del film. Questo perchè in quel preciso momento Amin si trova in compagnia della ragazza di cui è innamorato da sempre, Ophélie, dunque noi spettatori medi vorremmo un bel momento d’amore e probabilmente anche una vera e propria dichiarazione. Invece lo sceneggiatore fotografo voyeur silenzioso ghignante le preferisce delle pecore, il parto di quest’ultime, non ci rendiamo mai davvero conto delle sue ragioni. Durante il parto però Amin non ghigna, osserva silenzioso ed assuefatto in compagnia della sua macchina fotografica i parti delle pecore, di cui poi discuterà con la ragazza stessa in un momento successivo in discoteca. Quale modo migliore per abbordare una ragazza se non parlarle dei parti delle pecore!! Il secondo elemento insolito e anche abbastanza fastidioso è rappresentato da un’altra lunghissima scena, questa volta all’interno di una discoteca, in cui seguiamo il solito silenzioso protagonista voyeur Amin guardare la ragazza di cui è innamorato da sempre destreggiarsi tra pali dal lap dance e siparietti erotici con un’altra ragazza con cui lo stesso Amin era uscito nel corso del film. Impressionante come Kechiche riesca a girare una scena in discoteca in questo modo comunque, tutto è estremamente fluido e naturale, c’è un rispetto del tempo reale davvero inedito, il tempo della vita e non della finzione, ma lo si porta davvero all’estremo rischiando di sfinire lo spettatore. Insomma la terza ora del film risulta fastidiosa ed ammorbante, con diversi elementi piuttosto inutili (si la scena nel recinto di pecore ha tutto il suo perchè sull’amore e sulla vita, ma davvero era necessario renderla così lunga?) ed una scena finale che non chiude (forse appositamente) quanto invece ci si sarebbe potuti aspettare. Una scena finale anche piuttosto banale e per nulla chiara, anche se forse una spiegazione un po’ troppo tirata la possiede anche quella. Insomma l’ultima non convince per niente e rischia di rovinare un film che avrebbe potuto essere un vero e proprio capolavoro. Il film è consigliato agli amanti del cinema e più nello specifico agli amanti del cinema di Kechiche, è sconsigliato agli amanti delle rom-com, dei teen movie estivi e del cinema sentimentale quello più rilassato e quotidiano, perchè con questo Mektoub siamo proprio da un’altra parte. Cinema d’autore a tratti pretestuoso e francamente anche un po’ fastidioso, con un po’ di pazienza e amore per il cinema lo si riesce a guardare tutto e perfino a goderselo in fin dei conti. Molto bello, due ore ottime ed una terza disastrosa, avrebbe potuto essere un capolavoro. Sfortunatamente non lo è!
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