Dogman (Id; 2018) di Matteo Garrone
- Eugenio Grenna
- 30 mag 2018
- Tempo di lettura: 3 min

“Andrò molto lontano…” “Perché Shane?” “Un uomo ha la sua via tracciata… non può cambiarla… non avrei dovuto dimenticarlo.” “Voglio che tu resti, Shane.” “Si infrange la legge quando si uccide, e non c’è rimedio. A torto o a ragione… rimane sempre un marchio… che non si cancella più. Ora torna presto dalla mamma, e dille da parte mia che non tema più niente. La tranquillità è tornata nella vallata.” “Shane, sei ferito… sanguini!” “Non è niente, Joe. Ora và, tranquillizza il babbo e la mamma e cerca di diventare forte e leale. Joe, cerca di essere… come loro.”
Il cavaliere della valle solitaria (Shane; 1953) di George Stevens
LA SINOSSI: Marcello ha due grandi amori: la figlia Alida, e i cani che accudisce con la dolcezza di uomo mite e gentile. Il suo negozio di toelettatura, Dogman, è incistato fra un “compro oro” e la sala biliardo-videoteca di un quartiere periferico a bordo del mare, di quelli che esibiscono più apertamente il degrado italiano degli ultimi decenni. L’uomo-simbolo di quel degrado è un bullo locale, l’ex pugile Simone, che intimidisce, taglieggia e umilia i negozianti del quartiere. Con Marcello, Simone ha un rapporto simbiotico come quello dello squalo con il pesce pilota.
IL COMMENTO: Domenica 27 maggio 2018. Giorno in cui finalmente ho visto #Dogman di #MatteoGarrone e per una volta ho pensato di scrivere qualcosa su un film che è cinema ai massimi livelli, sulle condizioni di un cinema italiano che non è mai morto (come molti hanno creduto e tutt’ora credono) e che combatte, continuando a proporre film sempre più forti e sorprendenti che nulla hanno da invidiare al cinema americano e non. Dogman è un film che non ha mai una precisa collocazione spazio/temporale e che sembra identificarsi nei canoni del cinema western, a partire dalle ambientazioni, dalla fotografia e quindi dai colori, dal sudore sui volti dei personaggi e dal sottile confine morale che separa quelli che sono i buoni dai cattivi. Un western moderno dolce e potente nella sua parabola sulla condizione degli uomini di fronte al male, sulla vita e sull’amore. Ma allo stesso tempo è anche disperato e crepuscolare, perché racconta di un uomo che vuole essere a tutti i costi buono e vuole quindi che anche gli altri lo considerino così, ma che per forza di cose capisce che per l’amore, la bontà e la tranquillità ancora non c’è spazio. Ed è piuttosto il momento di reagire, quello della violenza, in cui devi sporcarti le mani per risolvere i tuoi problemi e quindi diventare parte di quel buio e di quel male sordo e muto (Garrone fa parlare pochissimo Simone/il male/il bruto) che avanza senza limiti e senza chiari motivi. C’è quindi anche una parte in cui il film si trasforma in una ricerca di vendetta atipica in cui viene mostrato l’investimento umano e personale necessario, in cui cominciano a confondersi le gesta dei “buoni” e quelle dei “cattivi”. Matteo Garrone ha fatto un grande grande film, fino ad ora inedito all’interno del panorama cinematografico italiano, ma non all’interno di quello internazionale perché siamo esattamente dalle parti di quel capolavoro del 1971 di Sam Peckinpah, Straw Dogs (Cane di Paglia). La ribellione di un uomo tranquillo dinanzi ad un male immotivato che si presenta incessantemente alla sua porta, netto contrasto tra vita tranquilla e vita nel caos, nel buio che amplifica quindi quello che è un vero e proprio inno alla vita e all’amore. Non è un film per tutti, perché è estremamente duro e sconvolgente, molto poco consolatorio, ma se tutto questo non vi “spaventa” allora correte al cinema a vedere quello che è uno dei migliori film italiani degli ultimi anni. C’è una rinascita del cinema italiano che forse si è assopito per un po’, per poi risvegliarsi in un’epoca di malessere, di confusione e di aggressività propria dell’Italia degli ultimi anni, quindi è salita una voglia… Una necessità da parte del cinema italiano di raccontare storie diverse, ma anche di raccontare ciò che non funziona qui, tra noi e di noi, ma sempre in maniera inedita. DOGMAN, COMPLIMENTI!
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